Avevo fatto il callo alla superficiale retorica del perdente, perché se è vero che nel calcio vincere è l’unica cosa che conta, arrivare ad un obiettivo, che sia personale o prefissato dalla società, non può che essere una vittoria, la quale quindi acquisisce un valore relativo. Sentendo le storie di mia nonna che raccontava da dove veniva mio padre e vedere dove era arrivato, ero serenamente convinto che fosse un vincente, nel senso stereotipato del termine. Finalmente, siete tutti obbligati a ritenerlo tale, non c’è argomento che tenga e questa è la cosa di cui sono più fiero, che il mondo riesca a vedere lo Spalletti lavoratore con i miei stessi occhi, anche se per ragioni differenti, anche se non vuole: se era poesia non vincere in Italia per i motivi sopracitati, immaginate finalmente farlo in una piazza ricca-povera proprio come te. Non sono felice, sono sereno: babbo, sono orgoglioso di te e quando si parla di lavoro ti ho sempre difeso a spada tratta, garantiscimi la possibilità di sentirmi parte di tutto ciò. Firmato, un perdente".
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