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Al Parc des Princes c’è un solo Re

Redazione

Al Parc des Princes il calcio di Carlo Ancelotti ha saputo nuovamente imporsi grazie al lavoro della squadra azzurra

Avreste mai immaginato il PSG esultare, a fine partita, davanti al proprio pubblico per essere riuscito a strappare un pareggio contro il Napoli?

Probabilmente sì, se si considera che al Parc des Princes, ieri sera, in tanti hanno indossato la corona, ma il re è sempre uno. Carlo Ancelotti.

L'autorevolezza con la quale il tecnico del Napoli è riuscito a imbrigliare anche lo stratega Tuchel, che sa come disperdere i punti di riferimento, ha sorpreso nuovamente. Forse è il caso di cominciare a fare l'abitudine al fatto che Ancelotti non sia soltanto il Re di Coppe, ma anche un eccellente comandante di truppe. Riconosce il peso di una battaglia e, non potendo rimpatriare La Gioconda, espatria il calcio. Quella è la sua materia, e non c'è modo di rubargliela.

Il primo tempo del Napoli a Parigi si divide in due metà: una prima frazione di gioco, durata 20', in cui il PSG fa sfoggio di individualità e anche di presunzione: la ditta Neymar-Cavani-Mbappé usufruisce del genio di Di María e genera pericoli, che però non fanno altro che riportare ancora sugli scudi David Ospina. Il colombiano, questa volta non solo coi piedi, blinda la sua porta con diverse parate brivido, che fanno alzare dai sediolini per un applauso.

Tanto è convinto il PSG di poter imporsi di fronte al Napoli, che addirittura il brasiliano Neymar comincia a dialogare con Edinson Cavani: una dettatura inedita nel capitolo del loro discutibile rapporto. Fuori e dentro dal campo.

Poi Mario Rui disegna per Mertens al 23' e il Napoli decide in che direzione deve andare la partita. E il pallonetto di Insigne ad Areola , poco dopo, lo chiarisce, qualora ci fossero ancora dei dubbi.

Non solamente gli 11 di Ancelotti cominciano a mettersi in pari con gli sprazzi d'eleganza del PSG, ma arrivano a sbugiardarne il talento. Viene fuori la verità: i parigini sono un gruppo estremamente capace, ma spaccato in due metà dal centrocampo ad andare verso l'alto, e soprattutto un concentrato di individualità, che Neymar accentua cercando più volte di cadere in area di rigore o all'esterno, per una punizione promettente. Ma il Parc des Princes non è l'Opéra Garnier.

L'esaltazione massima arriva quando, allo scadere del primo tempo, il Napoli arriva nei pressi della porta avversaria dopo 21 passaggi consecutivi, mentre Allan e Fabian si contendono il potere dell'onnipresenza.

D'altronde, spesso si è provato a chiarirlo, ma il concetto ancora non riesce a penetrare i pensieri di tutti: il Napoli di Carlo Ancelotti non è la negazione del collettivo di Maurizio Sarri, ne è semmai un'evoluzione più pragmatica e matura. Resiste la padronanza della mnemotecnica ma ci sono più varianti e possibilità. Non esiste una sola soluzione offensiva né un solo piano di riserva difensivo: ad esempio, esiste Maksimovic, che erge un muro. Dove c'è il serbo, non c'è combinazione che conceda accesso alla sua parte blindata di campo.

Al 60', tuttavia, un autogol di Mario Rui 'rovina' il risultato al Napoli e consegna l'esultanza al PSG. Ma Fabián, la cui intelligenza tattica dà innumerevoli idee offensive al Napoli, poco dopo disegna un perfetto assist per Mertens, che fa pace col destino del match.

"Chi ha paura, in campo non deve andarci" aveva detto Ancelotti il giorno prima e a lezione di coraggio pare ci sia andato tutto il Napoli: in altre occasioni, quelle passate, un pareggio auto-procurato avrebbe danneggiato il prosieguo psicologico del match, per gli azzurri. Invece la storia è diversa, questa volta: il Napoli è così convinto di poter fare risultato che alla fine ci riesce davvero.

Peccato per la componente scientifica che il calcio non manca mai di riaffermare: i campioni spostano gli equilibri e decidono i risultati. Se, infatti, l'unico re della serata è Carlo Ancelotti, è anche vero che in campo c'è uno dei più promettenti eredi al trono: Angel Di María. Il pallone decide le curve che l'argentino impone, così come i ritmi offensivi che lui predispone. Le sue verticalizzazioni e i suoi inserimenti sono stati tra i più propizievoli del match, per i parigini.

Di María, quando il fischietto è già pronto a far squillare il triplice fischio, disegna un sinistro a giro che piega Ospina e il risultato.

Il Napoli lascia lo stadio di Parigi con un 2-2, per il quale qualche mese fa in tanti avrebbero firmato con commozione. Nessuno quasi ricordava che Ancelotti questa competizione la giocasse per vincerla. Almeno partita dopo partita.

Il risultato è amaro per gli azzurri poiché il PSG è stato condotto al pareggio, piuttosto che indurlo in prima persona. E' amaro perché torna alla mente la sera di Belgrado, quando sul campo della Stella Rossa il Napoli ha lasciato in dote ai serbi due punti d'oro. E' amaro perché il girone della morte, che avrebbe dovuto vedere gli azzurri arrancare, li ha visti soccombere mai o addirittura vacillare solo in Serbia, l'unico campo sul quale si pensava di poter far risultato.

Gli azzurri terminano il girone d'andata di Champions League dietro al Liverpool, ma con due certezze indissolubili: non si perde più nelle stanze d'hotel, e Neymar nella sua avrà sicuramente sognato Allan.

di Sabrina Uccello

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