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Nella frenesia del calcio postmoderno tre stagioni possono valere un’eternità e certamente nel caso di Pepe Reina è così: l’almanacco dice che è arrivato a quota 135 gare in azzurro, la storia di questi anni racconta che in realtà gli è bastato molto meno per entrare in perfetta simbiosi con il Napoli e la sua gente. Leader del gruppo, in campo e fuori, ma pure icona di una città che ha una sua identità culturale fortissima ma che pure riesce a rispecchiarsi e ritrovarsi nel volto, nella grinta, nelle parole di un ragazzone di Madrid che è arrivato, se n’è andato, ha promesso di tornare e ha mantenuto la parola due estati fa.
«Reina resta», ha garantito il presidente Aurelio De Laurentiis in un’intervista esclusiva al Corriere dello Sport-Stadio. «Reina è fondamentale», aveva sentenziato Sarri ospite nella nostra redazione qualche settimana prima: hanno entrambi ben chiaro quale dovrà essere il futuro azzurro tra i pali. Due anni ancora con Reina, poi toccherà al suo erede che il club vuole far crescere accanto a lui e non nella sua ombra. Sapendo che anche quando si sarà sfilato i guanti, lo spagnolo resterà centro di gravità permanente di un club che pensa in grande e vuole proseguire nel suo percorso di crescita. E che per farlo ha bisogno di leader veri. Per capire cosa rappresenti Reina per il popolo azzurro basta un’occhiata alle istantanee rimbalzate ieri dal ritiro di Dimaro: più che un plebiscito, idolatria pura e sincera. E’ l’anno della verità, è l’anno del grande salto: dando la mano a Reina, certo, ci si sentirà più sicuri. CdS.
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