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La mezzanotte del Napoli e della sua «testa alta»

Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

A Riyadh una sconfitta che ne ricorda un'altra, come è spesso accaduto nella storia del Napoli. Sconfitte che quasi puzzano di DNA. In una stagione sempre più negativa, anche se in campo qualcosa si muove

Si può ripartire dai visi sconfortati e dalla buona interpretazione del 3-4-2-1. Il Napoli perde la Supercoppa alla vecchia maniera, ovvero a testa alta. Una retorica che chi scrive non ha mai amato e che anche oggi lascia un amaro in bocca inenarrabile. Si ricordi che si tratta della squadra che ha vinto uno Scudetto straordinario e storico neanche un anno fa. Oggi quella squadra imbattibile e sicura di sé è l'Inter di Inzaghi (allenatore di medio valore), che vince perché continua a vincere e segue quella buona stella di cui Mourinho aveva parlato prima di un Napoli-Roma finito al 90esimo 2-1. Da uomo che vive delle fortune e degli episodi (creandoseli ndr) del calcio, bisognava aspettarsi che avesse ragione.

È mezzanotte

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Di contro il Napoli ci ha messo del suo, ha provato con tenacia e ardore a tenere la partita nonostante le mille assenze. Con Ngonge in panchina. Senza Osimhen e Anguissa, Olivera e Natan e Meret. Senza tutti questi uomini - discorsi sul mazzarrismo a parte - è impossibile per Zerbin, Cajuste e co. costruire un calcio diverso da quello che si è visto. Di duelli, forza e gamba. Concentrazione e qualità difensiva. Mazzarri pare sia riuscito nel compattare tatticamente in senso difensivo una squadra che prendeva gol su gol a difesa schierata, senza mantenere neanche una marcatura in area. Addirittura Rrahmani uno dei migliori, straordinario Di Lorenzo nella sua resistenza e lucidità. Bene Lobotka e benissimo Mazzocchi, sostituito solo per i crampi. Passano in sordina le sue ultime due buone prestazioni. Lo stesso Zerbin ha giocato da quasi-venduto al Monza, da titolare in finale di una Supercoppa.

Della partita c'è da dire e non c'è da dire. L'Inter ha vinto di nervi e perché la collina pende dal suo lato, quest'anno. Lautaro è un giocatore formidabile e il pallone è scivolato sul suo piede proprio al novantesimo. Non poteva sbagliare. L'espulsione di Simeone ha cambiato tutto (secondo giallo giusto, il primo no ndr) e ha creato grandissimo rammarico per tutto quello che sarebbe potuto essere. Per la seconda volta Mazzarri perde in Supercoppa e si parlerà tanto dell'espulsione, forse troppo, rispetto a quanto invece si dovrebbe fare del nuovo atteggiamento che l'allenatore è riuscito a impiantare in una squadra che aveva dato 6 palloni all'Ajax nel tempio del calcio totale. Questi giocatori li ha dovuti riacciuffare dal baratro delle loro profonde insicurezze. Li ha ri-presi e messi nelle condizioni di avere almeno un senso, come avevamo già scritto. Ha fatto come Gattuso, che vinse una Coppa Italia difendendo in 11 dietro la linea della palla contro la Juventus. Poi arrivò settimo e quinto. Questo Napoli dà quell'impressione, per quanto si spera di sbagliare.

Ci sarà il tempo per fare ulteriori valutazioni anche sull'adeguatezza di Mazzarri, nonostante stia riuscendo e siamo sicuri riuscirà con questo nuovo assetto a fare dei punti e delle vittorie in campionato. Ci sarà il tempo pure per parlare dell'opportunità di giocare una Supercoppa italiana a Riyadh in Arabia Saudita, ignorando che si tratta di una società civile e culturale così diversa dalla nostra al punto da fischiare il minuto di silenzio di Gigi Riva in modo indegno. Di certo c'è che il Napoli è passato dall'immanenza del 4-3-3 alla rivoluzione del suo DNA di possesso e dominio. Questo può essere solo un male e andrà ristabilito quanto prima perché solo così si vince nel calcio. Con un'identità in campo o con una società forte alle spalle. Al di là dei moduli. Cos'ha il Napoli delle due oggi? Solo tanta paura di non sapersi più svegliare dalla mezzanotte.


A cura di Mattia Fele

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