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Napoli Capitale Morale
Dal Vesuvio a Milano
Storia di un ribaltamento nazionale tra Politica, Massoneria e Chiesa
La definizione “capitale morale” è sinonimo di Milano, la città che, dall’Unità d’Italia in poi, si è
messa alla guida del progresso del Paese e ha saputo guadagnarsi il ruolo di città-faro, pur non essendo la capitale ufficiale. Eppure, alla vigilia della spedizione di Garibaldi e della conquista del Sud da parte di Vittorio Emanuele II di Savoia, Milano era città subordinata a Vienna, cioè alla capitale di quell’Impero austriaco che dialogava con la capitale del Regno delle Due Sicilie, Napoli, la “capitale morale” dell’Italia pre-risorgimentale.
Napoli e Milano, la “capitale morale” preunitaria e quella postunitaria, le città che hanno fatto
la storia dell’Opera, i due poli uniti da rilevanti intrecci tra il Quattrocento e il Settecento, tra
il Rinascimento e l’Illuminismo, allontanate dall’Unità nazionale e definitivamente separate
dall’americanizzazione post-bellica, si proiettano nel futuro come diverse realtà dello stesso Paese.
Ma davvero si tratta di mondi inconciliabili? Napoli Capitale Morale è un documentato
racconto dei percorsi e degli incroci tra le città-simbolo delle due Italie, con un occhio
vigile alle componenti Politica, Massoneria e Chiesa. È un chiarimento dei loro destini, necessario per ragionare su quanto ereditano dalle rispettive scelte storiche, culturali, economiche e urbanistiche, e per individuare i motivi delle differenti velocità del loro sviluppo.
Una narrazione di due paradigmi, utile alla comprensione dell’origine della “Questione
meridionale” e del differente progresso di Nord e Sud del Paese.
Dici “capitale morale” e pensi a Milano. Dici Milano e pensi a finanza e panettone, ma anche
ai suoi simboli: la Scala, il Corriere della Sera, l’Alfa Romeo. Eppure, il padre del glorioso
teatro scaligero non avrebbe mai potuto costruire quella sala e la Milano neoclassica di fine
Settecento se prima non fosse stato a imparare il mestiere a Napoli. In quel teatro si giocava così febbrilmente d’azzardo che uno scaltro barista milanese, con l’opportunità di servir bevande, riuscì a spillare tanti soldi ai suoi concittadini come croupier da guadagnarsi la direzione del più importante San Carlo di Napoli e diventare nientemeno che “il principe degli impresari”, determinando dal Golfo le carriere internazionali degli artisti italiani e mettendo su, con la fortuna messa da parte, l’impresa edile che innalzò la basilica di San Francesco di Paola.
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E fu un napoletano trapiantato a Milano a fondare Il Corriere della Sera, il quotidiano oggi più
diffuso in Italia, e fu ancora un napoletano a definire Milano la “capitale morale”, ma con un
significato ben diverso da quello che gli si è dato erroneamente dal dopoguerra in poi. E sempre un napoletano, nel primo Novecento, salvò dal fallimento la giovane fabbrica di automobili di Milano, creando il mito motoristico della “casa del biscione”. Si potrebbe proseguire oltre a snocciolare gli incroci tra le due città, ma tanto basta per dedurre quanto sia significativa l’impronta di Napoli nella storia recente della città della Madonnina e nei suoi simboli e per rimandare alla lettura di Napoli Capitale Morale.
Nel titolo è chiarissimo il riferimento a Milano, la co-protagonista, ma è Napoli la prima attrice, perché oggi è la controversa metropoli del Sud ad aver bisogno di essere decifrata
e capita, raccontandone il percorso ma tenendo d’occhio quello del capoluogo lombardo, che
sembra non aver bisogno di approfondimenti. Sembra, appunto, perché gli elementi dominanti della narrazione di entrambe si sono ridotti ai ritardi partenopei e ai progressi meneghini, alla criminalitàorganizzata napoletana e alla finanza milanese.
Il paradosso di Napoli è l’occultamento dei suoi valori positivi dietro l’immagine imposta del
male; quello di Milano è l’eccessivo ingombro della sua immagine di città impegnata nel profitto.
Eppure vi fu un tempo dei Lumi e della Cultura in cui Napoli dialogava con Vienna, allorché la corte asburgica portò la cultura partenopea e le novità del Regno borbonico nel sottoposto Ducato di Milano, compreso l’emblema contemporaneo della cultura milanese, quel Regio Ducal Teatro di Santa Maria alla Scala che fu diretta emanazione del Real Teatro di San Carlo di Napoli e del Teatro di Corte della Reggia di Caserta.
Dal 1861 in poi è stata Milano ad anticipare tutti, tant’è che la sua galleria “Vittorio Emanuele”
in ferro e vetro ha fatto da modello per la “Umberto I” di Napoli.
Due anni di indagine e scrittura per chiarire come si sia concretizzato un capovolgimento
nazionale: da Napoli, universalmente riconosciuta come la città più importante dell’Italia di metà Ottocento, a Milano, periferica contea asburgica cresciuta enormemente di rilevanza, fino ad affermare la sua identità di metropoli moderna ed europea. Due città che, per diversi aspetti, hanno in Torino la rivale comune e che, forti delle proprie identità, hanno cancellato Roma dalle loro toponomastiche. Due metropoli che rappresentano il Nord e il Sud, raccontate sullo sfondo delle vicende politiche nazionali, ma anche di quelle apparentemente estranee della Chiesa e della Massoneria in conflitto tra loro, che invece proprio nelle evoluzioni del processo unitario ebbero grande importanza.
REDAZIONE
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