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Non è il Napoli di Carlo Ancelotti, non somiglia a quello di Maurizio Sarri né ricorda il percorso di Rafa Benítez. Il Napoli visto in questo primo squarcio di stagione è il Napoli di nessuno. A tratti illude, viene fuori nelle sue indiscutibili qualità, ovvero quelle di una rosa nei singoli tra le più forti che possa aver mai vantato il club azzurro. Tuttavia si tratta di qualche ormai sporadico momento, che non fa altro che acuire il disappunto quando si osservano prestazioni, come quella che la squadra ha offerto in occasione della gara di campionato contro la Roma, all'Olimpico. In panchina non c'era Carlo Ancelotti,squalificato per una giornata dopo il match casalingo contro l'Atalanta, ma in realtà il tecnico sembra non essere nemmeno nella testa dei suoi calciatori. Oppure, se qualche volta vi entra, non riesce a restarci troppo a lungo. Non riesce a lasciare il segno. Perché? Segni precisi ancora non ne ha dati oppure non riesce a fari comprendere/seguire incondizionatamente? Difficile svelare l'arcano, difficile mettere ordine in una confusione attorno alla quale ruota una sola certezza: non ve ne sono. O almeno la squadra non ne ha.
Tatticamente regna una gran confusione, molto probabilmente accentuata anche da fattori incontrollabili o difficilmente contrastabili. Un esempio su tutti può costituirlo la coppia difensiva Koulibaly-Manolas. Al momento dell'acquisto del greco, il duo era stato considerato per l'assortimento di capacità e caratteristiche il più temibile d'Europa. Ancora oggi è innegabile che possa esserlo, ma poche sono state le occasioni per vederlo attuare e quindi acquisire automatismi. Koulibaly, nello specifico, sta vivendo un inizio di stagione complicato, dovuto anche alla stanchezza accumulata in Coppa d'Africa e alla squalifica rimediata e scontata alcune giornate fa. Fattori, entrambi, che hanno minato la sua continuità e reso più difficile l'abitudine a un partner diverso da Raul Albiol, innegabile cervello della difesa del Napoli fino alla scorsa stagione. Il ruolo di pensatore pare sia destinato ad assumerlo proprio Manolas, ma anche nel suo caso le prestazioni sono state rese altalenanti da piccoli infortuni che hanno rallentato l'approccio alla nuova realtà. Non sono alibi. Il Napoli non ne ha e non deve cercarne, ma sì sono dati che possono accennare una prima risposta a molti interrogativi. Primo tra tutti la mancanza di coralità che si avverte quando la squadra scende in campo.
Non si gioca a memoria, non lo si può pretendere con ogni allenatore, ma sembrano completamente slegati i neuroni collettivi che dovrebbero creare il cervello del Napoli. L'addio di Jorginho e quello di Hamsik (che ha svolto più e più ruoli per e nel Napoli), poi, hanno chiuso l'epoca del regista per gli azzurri. Non se ne sono visti più dalle parti del San Paolo. Chiunque abbia improvvisato il mestiere è durato poco o lo ha fatto con scarsi risultati, eppure il collante in mezzo al campo manca. Non è pensabile pretendere un continuo avanzamento da parte dei difensori (si è visto proporsi spesso lo stesso Koulibaly) oppure delegare il compito a Fabian, Allan e Zielinski su tutti. Si tratta di un "posto" scoperto, alla cui assenza si può rimediare sul mercato oppure modificando le strategie di gioco. Si ritornerebbe però al punto di partenza: quale gioco?
Non è ancora chiaro.
Non torneremo sul lungo e pedante (ormai) discorso relativo al turnover e ai ruoli. Ribadiremo però un altro concetto usurato: la forza del Napoli è sempre stata lo spogliatoio. Non è allegoria né poesia. Il gruppo azzurro ha sempre rappresentato un fronte unito e una soluzione efficace fuori e dentro dal campo: l'intesa Callejon-Insigne con Mertens/Milik finalizzatore potrebbe entrare di diritto nei manuali esplicativi del calcio alla PlayStation, tuttavia la sincronia e l'armonia si nota affievolita. L'assenza di risultati, le critiche, la pressione e la confusione dovuta ai tanti cambiamenti sicuramente è la causa scatenante di ogni equilibrio traballante all'interno della squadra. Tuttavia necessaria è la consapevolezza di poterne e doverne uscire partendo dalle qualità innegabili che la squadra possiede. Ogni reparto può contare sulla presenza di quelli che sarebbero più titolari che riserve in qualsiasi squadra top dei maggiori campionati europei, tuttavia i suoi numeri (18 punti in 11 giornate) rappresentano una media al di sotto degli obiettivi che il Napoli ha e che carta alla mano può raggiungere.
La scossa da dove può derivare se non dalla consapevolezza che una squadra con simili elementi non può bazzicare nelle zone medie della classifica?Martedì al San Paolo arriverà il Salisburgo e il Napoli potrà chiudere con anticipo la pratica Champions League, assicurandosi spazio agli ottavi di finale. Un'occasione per ricominciare, per ricompattarsi, per guardarsi allo specchio e capire che la direzione presa non è congeniale alla squadra che con riconosciuti investimenti economici è stata costruita e che ha saputo rendersi spesso la più bella di tutte.
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