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Napoli amara per Leonardo Pavoletti, amara proprio per lui che aveva dimostrato di essere pienamente inserito nel tessuto sociale della città, nello spogliatoio. Insomma, Leonardo era ovunque meno che in campo.
Sul terreno di gioco i compagni parlano una lingua diversa dalla sua, che rimane un centravanti vecchio stampo, uno abile a fiondarsi sui palloni vaganti in area, un ariete da monta che di spada più che di fioretto.
Insomma, un calciatore che pur essendo dotato di una discreta tecnica di base, proprio non riesce a reggere i ritmi e le trame dei compagni di squadra.
E' forte di testa, fortissimo (lo abbiamo ammirato al Genoa), ma anche qui casca male
Il Napoli seguendo la falsariga dei grandi maestri del passato (da Brian Clough passando per Sacchi e finendo con Guardiola) gioca un calcio di diamante, fatto di tocchi rapidi rigorosamente palla a terra.
"Sulle nuvole non ci sono i prati", diceva il rock-manager ex Derby County e Nottingham Forest (a proposito, per Clough due Coppe dei Campioni con i "garibaldini").
Alla luce di questo grande equivoco tattico, Pavoletti era (quasi) un lusso che il Napoli non poteva permettersi. Farà bene al Cagliari, alla disperata ricerca di un centravanti.
Peccato però che sia finita così. Deve essere amaro, per non dire "drammatico", aver vestito la maglia azzurra da "nueve" e chiedersi cosa vuol dire esultare sotto la Curva B, o sentire lo speaker urlare il tuo nome sotto la volta celeste di Fuorigrotta.
Caro Leo, è mancato solo il visibilio, quanto al resto, ci siamo voluti bene. Buona fortuna ragazzo.
REDAZIONE - .
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