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UDINE, ITALY - JANUARY 10: Tiemoue Bakayoko of SSC Napoli celebrates with team mates after scoring their side's second goal as Eljif Elmas jumps on top during the Serie A match between Udinese Calcio and SSC Napoli at Dacia Arena on January 10, 2021 in Udine, Italy. Sporting stadiums around Italy remain under strict restrictions due to the Coronavirus Pandemic as Government social distancing laws prohibit fans inside venues resulting in games being played behind closed doors. (Photo by Alessandro Sabattini/Getty Images)
Se pensassimo che i problemi del Napoli siano esclusivi della scarsa finalizzazione, staremmo comunque raccogliendo un dato positivo: nelle classifiche di rendimento statistico – oltre a quelli ormai celebri degli xG, aggiungo quello più largo dell’Indice di pericolosità offensiva (ISO) – il Napoli è nei primissimi posti valutando le cinque migliori leghe europee.
È un certificato di buona salute; che poi le occasioni da gol si realizzino dipende, in stretta misura, dalla capacità degli attaccanti di essere più o meno performanti. Tuttavia, giudicare una squadra solo dal volume del suo gioco offensivo è un’ingiuria alla ricchezza espressiva dello sport praticato: nel calcio, anche in questo calcio così tecnico e volatile, saper difendere resta ancora il dato che differenzia chi conquista trofei e chi applaude sotto il palchetto. E I problemi del Napoli di Gattuso sono da attribuire proprio alla difficoltà della squadra di difendere in transizione negativa.
Che cos’è la transizione? La transizione è un momento di gioco immediatamente successivo alla riconquista o alla perdita del pallone: in caso di riconquista vi è transizione positiva (dalla fase difensiva a quella offensiva); in caso di perdita, invece, si parla di transizione negativa (dalla fase offensiva a quella difensiva). Nella maggior parte dei piani gara di Gattuso, c’è il proposito di dominare la partita attraverso un palleggio ordinato, assai scolastico, il cui fine è di attivare, tra la linea di difesa e centrocampo avversaria, la zona di rifinitura (comunemente chiamata trequarti).
La velocità con cui si sceglie di risalire il campo è condizionata certamente dagli interpreti e dall’altezza del pressing avversario, ma nelle migliori intenzioni del tecnico calabrese perdura, a ben volere, l’idea di un modello di gioco proattivo. A dispetto di qualsiasi modulo, il dubbio si alimenta nella composizione degli undici, in particolare dello schieramento a centrocampo, e soprattutto nella poca affidabilità collettiva del gegenepressing, il momento in cui si tenta una riconquista veloce della palla, che porta agli “interminati spazi” lasciati una volta saltata la linea di pressione.
Spesso accade che, costruito il gioco, arrivati ad un passo dalla conclusione a rete, basti un tiro ribattuto, un rilancio o un banale intercetto per permettere anche a squadre come Spezia e Torino di essere pericolose (la prima addirittura in dieci uomini) e di capovolgere sempre coordinati il contropiede. Per questo motivo, non sono d’accordo che sia un problema di “annusare il pericolo”, semplicemente il Napoli subisce perché difende male. Fabian Ruiz e Bakayoko sono pregevoli nell’intercetto, ma spesso inadeguati nell’anticipo e soprattutto nelle marcature e coperture preventive, fidandosi troppo della loro fisicità nel recupero.
La linea d’attacco è di frequente scoordinata nella ri-aggressione del portatore palla, consentendo linee di passaggio facili. Trovarsi a rincorrere a parità o inferiorità numerica, con tanto campo da coprire, rileva errori ormai divenuti abituali: Di Lorenzo nella diagonale lunga, Rui nell’1vs1 profondo, le scalate dei difensori centrali, per dirne un paio. Le letture sbagliate sono errori di comprensione, e, duole dirlo, l’IQ di Ruiz e Bakayoko è insufficiente per sostenere un assetto di gioco simile. Entrambi poco disposti all’attesa, avrebbero bisogno vicino di un equilibratore come Demme, a mio avviso, il calciatore più importante nelle idee di Gattuso.
La lunghezza dei reparti è da ricercare in queste scelte che, tra l’altro, sono svantaggiose anche in fase di possesso. Giusto per: lo spagnolo spesso ha una postura errata nella ricezione, mentre l’ex Monaco non possiede un controllo palla aggraziato tale da permettergli quelle licenze poetiche da regista.
Eppure, di qualità, e molto importanti, ne hanno (la pulizia di calcio di Ruiz, l’atletismo di Bayokoko per citarne le più nette), il problema è che sono incompatibili in questo modulo insieme – premesso che Fabian sia sicuramente più decisivo sulla linea d’attacco che in quella di centrocampo –.
Il peccato mortale per ogni allenatore è di stagnarsi nei buoni alibi con frasi del tipo “non ci gira”, “gli episodi non ci premiano”, “abbiamo dominato, oppure ostinarsi nell’esaminare solo le defezioni mentali o di atteggiamento dei calciatori, come la concentrazione, la mancanza di cattiveria (o veleno, per dirla alla Gattuso).
Che poi, il Napoli, in difesa posizionale, schierata, primeggia! Anzi, i risultati migliori contro le big sono avvenuti anche attraverso la disposizione di due blocchi medio-bassi e serrati per poi distendersi in avanti. La speranza è che, oltre che una sopracitata migliore fase di transizione negativa, i recuperi di Mertens – la sua generosità e carisma sono fondamentali per questa squadra – Osimhen, Demme e Koulibaly, possano aiutare a rimescolare la scacchiera tattica del Napoli. Non nella scelta del 4 3 2 1, 4 3 3, o altro, perché, onestamente, ad oggi non hanno significato. I ruoli in questo nuovo calcio sono sostituiti dalle funzioni in campo: la complementarietà, il modo e la qualità nell’associarsi dei calciatori, sono queste le caratteristiche da valutare. Ieri, oggi e domani.
Contributo a cura di Bruno Conte (istruttore UEFA C)
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