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Arek Milik è tornato. Non c’è più traccia dell’8 ottobre del 2016, che è svanito il ricordo di quei mesi, del rischio della depressione, delle paure che avvolgono chi è entrato in sala operatoria per essere operato ai legamenti, si può urlare (con discrezione) al mondo la propria gioia.
Secondo l'edizione di oggi del Corriere dello Sport, Milik è tornato, e non è stato facile, perché è vero, aveva segnato in campionato, a Reggio Emilia, il 23 aprile, contro il Sassuolo: ma i gol si contano ed a volte si pesano e questo di Verona ha un senso, perché cancella anche l’errore (clamoroso) di mercoledì scorso con il Nizza, perché provvede a rimuovere quella nuvola di umanissima diffidenza che si avverte nell’aria. È la legge del calcio, sono le sensazioni che, là in mezzo, nel cuore dell’area di rigore, si colgono: lo sa anche Milik che quel Mertens lì è praticamente inavvicinabile, almeno fino a quando continuerà a segnare al ritmo della passata stagione ed a fornire una varietà al Napoli, che poi sarebbe anche una diversità.
E allora, l’erede di Higuain, ch’è stato Milik, l’uomo delle sette reti in poco più di quattrocento minuti, quello delle tre doppiette d’inizio campionato, non aveva altre scelte: lanciare un messaggio tangibile a se stesso, a Sarri ma anche a Napoli, e rassicurare chiunque sulla propria esistenza ma anche sulla sua consistenza, quella di un centravanti solido, agile eppure possente, un bomber vecchia maniera eppure moderna, lo stereotipo della punta classica (quando sta nei sedici metri e stacca) ma anche la punta contemporanea, che nonostante quel fisico da corazziere sa andare in contropiede e cogliere al volo l’assist pazzesco di Insigne.
REDAZIONE - Antonio De Crecchio.
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