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Lorenzo Insigne: tutta la sua vita raccontata ai microfoni del CdS: «Se non avessi fatto il calciatore non so come sarebbe andata a finire»
«Benitez mi ha insegnato la fase difensiva: prima mi fermavo a centrocampo»
Insigne, come ha cominciato a giocare a calcio ? «Io abitavo a Frattamaggiore e, tramite il papà di un mio amico il cui figlio già frequentava una scuola calcio, fu fatta la proposta ai giovani del quartiere di andare a fare un provino. Non mi volevano perché ero il più bassino della comitiva. E portarono mio fratello. Io andai a vedere la sua partita e piansi a dirotto perché volevo entrare in campo. Alla fine mi accontentarono e da quel momento non sono uscito più, perché ho fatto subito bene e ho continuato a giocare con la scuola calcio».
Quanti anni aveva? «Otto anni».
I suoi genitori che lavoro facevano? «Mio padre il calzolaio e mia mamma la casalinga».
Si ricorda una cosa bella che i suoi genitori le abbiano detto in questi anni della sua carriera? «I miei mi hanno sempre detto parole giuste, che mi hanno motivato e dato sicurezza. Mi hanno sempre detto che per loro sono stato una grande gioia e soddisfazione. Sono grato a loro per come hanno cresciuto me e i miei fratelli. Loro non sono troppo famosi, non giocano in serie A, ma i nostri genitori ci hanno sempre fatto sentire importanti, tutti allo stesso modo. Noi siamo quattro maschi e non ci hanno mai fatto mancare nulla».
Ha comprato loro qualcosa appena ha potuto? «Sì, dal giorno in cui ho fatto il contratto con il Napoli, anche se non erano tanti soldi, ho detto subito a mio padre di smettere di lavorare perché se prima andavamo avanti con il suo piccolo stipendio ora con millecinquecento euro ce la potevamo fare ad andare avanti insieme. Da quel mio contratto non l’ho fatto mai più lavorare, chino sulle scarpe da riparare. Poi ho regalato loro anche un appartamento, ora abitano vicino a me. Sono contento di questo, perché ho ripagato tutti i sacrifici che hanno fatto per me».
Se lei non avesse avuto questo talento calcistico, come pensa sarebbe stata la sua vita? «Sarei andato a lavorare, per dare una mano alla mia famiglia. Non so come sarebbe andata a finire. Però ora mi godo questi momenti di gioia, perché ho sempre sognato di giocare a calcio. E soprattutto di giocare con questa maglia».
Com’ era la sua stanza da bambino? Che cosa c’era di calcistico? «Non tanto, perché avevamo una casa molto piccola e dormivamo in quattro, noi fratelli, in una sola camera. C’era spazio solo per un pallone. La sera andavo a dormire abbracciato al pallone e la mattina dopo mi svegliavo con il pallone».
Quando è che passò poi al Napoli,da bambino? «Quando ero alla scuola calcio ho fatto vari provini, prima con il Torino e poi con l’Inter. Però venivo sempre scartato perché dicevano che ero bassino. Poi l’ex direttore del settore giovanile del Napoli Peppe Santoro mi ha portato qua. Avevo undici anni, quando sono arrivato nel settore giovanile azzurro».
Se la ricorda la notte prima dell’esordio in serie A? «Sì, ero in ritiro qui a Castel Volturno ed era il primo anno dopo Pescara. Avevo fatto un anno là, sono tornato e sono andato in ritiro con la prima squadra. Mazzarri, che mi aveva fatto giocare uno spezzone di partita nel 2010, mi disse che potevo e dovevo conquistarmi un posto in squadra e io feci il massimo per rimanere e per giocare. Ho esordito contro il Parma e ho fatto anche gol. E’ stata un’emozione indescrivibile, da bambino, in quella stanza a quattro letti, era il mio sogno: mettere la maglia azzurra, entrare dal sottopassaggio del San Paolo, e segnare un gol. Tutto successe, tutto in una volta. Una grande emozione».
Lei pensa di restare sempre al Napoli come Maldini, Del Piero, Totti? «Io lo spero perché ho sempre desiderato indossare questa maglia per tutta la vita. Poi si sa che non dipende solo dal calciatore, ma dalla società. Io per ora ho rinnovato un contratto di cinque anni con il Napoli, sto bene così, penso a giocare nel modo migliore il prossimo campionato. Il mio desiderio è rimanere più a lungo possibile nella squadra dove mi sono formato e per la quale il mio cuore palpita».
Juliano, Cannavaro e Ferrara e Bruscolotti a chi di questi giocatori si sente più vicino, più simile? «Io essendo giovane non ho conosciuto tanto bene gli altri calciatori, però ricordo Cannavaro. Sono vicino a lui perché, come ci definisce la gente, siamo un po’ scugnizzi».
Poi c’è stato uno scugnizzo non napoletano, che era Maradona…. «Lui è stato il giocatore più grande di tutti i tempi e sono orgoglioso del fatto che ha dimostrato anche una parte del suo valore con questa maglia. Lui ci ha fatto sognare e vincere e non smetteremo mai di ringraziarlo, perché ha riempito di gioia i nostri tifosi».
Lei lo ha conosciuto Maradona? «Sì, l’ho conosciuto prima della partita di Madrid. Ha parlato alla squadra. Ha fatto i complimenti a tutti. Era un sogno da bambino vedere Maradona da vicino, si è realizzato e sono stato molto fiero di averlo conosciuto. Poi mi sono scattato anche una foto con lui».
E’ lui il suo modello? «A livello calcistico sì perché era uno che saltava l’uomo facilmente, era un uomo squadra, era completo. Io cerco sempre di migliorarmi e, se pure so di non poter arrivare ai suoi livelli perché nessuno può raggiungerli, so anche che bisogna lavorare tanto perché poi il duro lavoro paga. E un calciatore forte è il frutto non solo del talento, ma anche della fatica».
Chi è stato l’allenatore più importante della sua vita? «Anche se sono giovane ho conosciuto diversi allenatori. Ho avuto Zeman che mi ha lanciato nel grande calcio e che ha puntato su di me sia in serie C che in serie B, e lo ringrazio tuttora. Poi Benitez, che mi ha fatto capire l’importanza della fase difensiva. Io, sinceramente, prima mi fermavo a centrocampo e non facevo la fatica di aiutare la squadra, rientrando. Questo poi è il terzo anno che sto con Sarri, lui veramente vive di calcio e si sta impegnando tanto, come si vede in campo. Le persone, anche non del Napoli, mi fermano e mi dicono che noi divertiamo il pubblico quando giochiamo. Ma non succede per caso: stiamo tante ore sul campo con la palla e proviamo di tutto. E’ grazie all’allenatore se oggi sono arrivato a questo punto, sia a livello contrattuale con il Napoli, sia a livello umano, sia in Nazionale. Devo tanto a Sarri, perché mi ha insegnato tanto. E continua a farlo».
All’inizio non avevate però un ottimo rapporto… «Io non ho mai avuto nessuno screzio con il tecnico. Solo che un giocatore quando non gioca sta male. Il primo anno ho giocato tantissimo, l’anno scorso invece un po’ meno: non è stata colpa dell’allenatore ma è stata responsabilità mia perché non stavo molto bene fisicamente, avevo qualche chilo in più ma soprattutto non ero mentalmente nella giusta condizione. Poi mi sono sbloccato e ho ripagato la fiducia che Sarri ha sempre avuto in me».
Che cosa manca al Napoli per vincere lo scudetto?
«Manca… io non penso manchi tanto perché quest’anno siamo andati vicini a fare una grande impresa. Dispiace perché abbiamo fatto un grande campionato, non siamo arrivati né secondi né primi, però abbiamo finito bene il campionato e quest’anno ripartiamo da una grande base. La cosa importante è che fino a ora non è andato via nessuno e spero che rimarremo tutti per fare un grande campionato».
Con Higuain si sente? «Sì, ci sentiamo ogni tanto però non è che prima avessimo un grande rapporto. Perché io essendo di Napoli e avendo qui anche la famiglia e gli amici, non frequento tanto i compagni. Qualche cena di squadra sì, però non li frequento tutti i giorni. Avevamo un rapporto normale da compagni di squadra».
Quale è il giocatore con il quale ha giocato che l’ha più impressionata? «In Nazionale sono stato nell’ultimo anno di Pirlo e non sono io a doverlo descrivere. Si sa che è stato un grande campione e sono orgoglioso di aver giocato con lui in Nazionale. Uno che mi ha impressionato tanto è stato Higuain, io non me l’aspettavo così forte. Invece mi sono ricreduto perché è un grande attaccante e sono contento di aver giocato anche con lui».
E invece il difensore che l’ha fatta più soffrire chi è? «Barzagli, perché mi piace come giocatore ma soprattutto come persona. E’ un bravo ragazzo, sta sempre al suo posto, un ragazzo educato e l’unico che mi tiene sempre botta quando gli gioco contro».
Per la Nazionale che speranze ha per la partita con la Spagna? «Il due settembre ci sarà la partita, ora bisogna vedere come ci arriviamo dopo la preparazione e dopo solamente due partite di campionato. Sicuramente sarà una partita difficile perché ci giochiamo la qualificazione in casa loro. Giocare al Bernabeu contro la Spagna non sarà facile, però bisogna affrontarla con il piede giusto e con la mentalità giusta. Non dobbiamo aver paura e dobbiamo giocarci la partita a viso aperto».
Che cosa è per lei Napoli città ? «Io sono cresciuto e per ora vivo fuori Napoli a Frattamaggiore dove sono cresciuto. Però a qualche giocatore che a volte ho sentito rifiutarsi di venire qua perché la città non è tranquilla, vorrei dire che si sbaglia perché Napoli è una città che ti dà tanto. Napoli è una città bellissima, bisogna viverla. Ora ci verrò a vivere e voglio scoprirla tutta».
Se dovesse dire a un bambino napoletano che cosa è il calcio, cosa gli direbbe? «Io gli direi di fare sacrifici fin da bambini, perché io ne ho fatti tanti. Ho rifiutato discoteche, serate con i miei amici perché anche da piccolo giocavo alla scuola calcio la domenica e il sabato sera andavo presto a letto, alle otto. Lo facevo perché avevo già il desiderio fortissimo di diventare calciatore. I sacrifici alla fine pagano. La gente mi vede ora che gioco nel Napoli, che guadagno tanto, con la maglia del Napoli e dice che sono fortunato. Li capisco ma io sento che non è fortuna ho fatto tanti sacrifici per arrivare fino a qua e continuerò a farli, perché giocare al calcio è sempre stata la mia passione. Poi bisogna dire a questi ragazzi che “sacrifici” e “sognare” sono le due parole fondamentali. Non solo nel calcio, nella vita».
Manca molto al momento in cui lei ci dovrà pensare, ma se lei si immagina tra trent’anni come si vede?
«Io vivo di calcio, quando c’è la sosta estiva soffro tanto perché mi piacerebbe sempre giocare. Spero che questo momento arrivi più tardi possibile perché solo il pensiero già mi fa soffrire. E poi, se Dio vuole, sarò ancora con questa squadra, con la quale spero di rimanere più a lungo possibile. Quando l’età mi costringerà a smettere spero di continuare a far parte di questa società. Perché Napoli è la mia casa e io sto bene qui». Cds.
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