Khvicha Kvaratskhelia ha rilasciato una lunga intervista esclusiva a Gt e Crocobet che hanno realizzato un documentario dedicato proprio al georgiano e ai suoi primi mesi al Napoli. Il talento georgiano ha già messo a referto otto reti e dieci assist con la maglia azzurra.
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Kvaratskhelia: “Giocare nel Napoli significa molto per me. Sul Maradona e Spalletti…”
Lunga intervista a Kvaratskhelia
"I tifosi del Napoli mi incoraggiano e mi supportano tantissimo, quando mi incontrano vogliono foto, autografi, mi riempiono di calore ed affetto. Sento così tanto amore che devo fare in modo da restituirlo quando gioco di fronte a loro allo stadio. Faccio di tutto per renderli felici, è una grande responsabilità. Non cammino molto spesso per la città, i tifosi sono innamorati dei calciatori in generale, e non solo nei miei confronti. È la prima cosa che ho notato al mio arrivo a Napoli. Vivono di calcio, non importa l’età: possono avere 70 anni, uomini o donne, tutti sanno tutto sul calcio. Anche durante la partita, quando rientriamo negli spogliatoi, i tifosi cantano e ci sostengono, quindi non sei autorizzato a non dare il massimo allo stadio".
Stai imparando l’italiano?
—"Ho avuto molto poco tempo, dopo gli allenamenti non sempre hai le capacità e la forza. Ma quando posso sostengo delle lezioni online con un ottimo insegnante. Ne ho già sostenute quattro, spesso utilizzo le parole ‘grazie’ e ‘bene, tu?’".
Cosa fai durante la giornata?
—"Mi sveglio alle otto del mattino, mi ci vogliono quindici minuti per arrivare al centro di allenamento. Faccio colazione, mi preparo e poi inizio ad allenarmi".
Sull'utilizzo dei social network
—"Provo a non leggere i commenti, non perché mi condizionano, ci sono commenti positivi e negativi. Sono grato a chi mi supporta, mentre i commenti negativi li uso per motivarmi. Quando me li scrivono, vorrei andare subito a giocare allo stadio per dimostrare il massimo".
Con Spalletti come ti trovi?
—"Una grande persona, molto positiva, ho imparato un sacco da lui finora. Conosce molto bene il mondo del calcio, è un grande allenatore. Ho imparato anche tanto dai miei compagni perché sono molto forti.Spalletti è una bravissima persona, e la nostra squadra è una grande famiglia. Giochiamo ogni tre giorni, ma gestendoci giochiamo tutti quanti. Abbiamo un grande rapporto, c’è una bella atmosfera in squadra".
Giocare a Napoli al Maradona, cosa significa per te?
—"Giocare nel Napoli significa molto per me, perché è uno dei club migliori d’Italia. Specialmente per via di Maradona, non avrei mai immaginato di poter esser parte di questa squadra fantastica".
Cosa hai provato la prima volta al Maradona?
—"Fu molto emozionante, perché l’atmosfera era bellissima. Ho realizzato che già essere lì mi rendeva un giocatore di calcio a tutti gli effetti. Vorrei che tanti calciatori georgiani facessero esperienza di queste emozioni, che molti di loro possano raggiungere i loro obiettivi. Per me era impensabile, pensavo che non sarei mai riuscito ad arrivare dove sono ora, ma devo avvisare tutti che per raggiungere i loro obiettivi bisogna fare un passo alla volta".
L'impatto con la Champions League che sensazioni ti ha regalato?
—"Quando ascoltavo da piccolo l’inno in televisione non avrei mai pensato di poterlo sentire dal vivo in campo. Il mio primo sogno era quello di giocare in Champions League, sentire l’inno ti dà una energia che non puoi trovare altrove. Specialmente alla prima partita, contro il Liverpool, avevo bisogno di quella motivazione, e ho pensato che mi abbia aiutato tantissimo".
Hai mai pensato di lasciare il calcio?
—"No, perché ero troppo occupato a giocarci. Quando ero a casa volevo sempre uscire e giocare con i miei amici, ci sono tante volte in cui le gambe mi hanno fatto male, ma andavo allo stadio per aiutare la mia squadra. La mia famiglia ed i miei amici mi hanno aiutato e supportato tantissimo".
E la tua fidanzata...
—"Non l’ho menzionata perché la considero parte della mia famiglia, Non posso esprimere le mie emozioni, le tengo dentro di me".
Come comunichi con la tua famiglia?
—"Certo è difficile, ma ci sono abituato. Avevo 17 anni quando sono andato per la prima volta in un’altra nazione, perché seguivo i miei sogni ed i miei obiettivi. Ad un certo punto devi essere capace di rinunciare a qualcosa, ma adesso la mia famiglia mi ha raggiunto, vengono e tornano".
Ci spieghi alcuni gesti che fai in campo?
—"Cose personali, ma le dirò lo stesso: le mani dietro le orecchie sono per i commenti negativi che vengono detti su di me, spesso sono assurdi e mi danno la motivazione a fare molto di più".
Le mani sulla guancia?
—"Un segno tipico del giocatore di basket Steph Curry, la gente pensava che la sua squadra non avesse chance di vincere il titolo: parlavano di lui, del titolo, facevano questo gesto per dirgli che stesse dormendo. E quando finalmente ha segnato i canestri nella partita decisiva, probabilmente voleva dire ‘zitti e a dormire’. Detto ciò, la sua squadra vinse e ho pensato di utilizzare pur io questo gesto".
Perché indossi sempre i parastinchi con la bandiera della Georgia?
—"Una volta ci ho festeggiato un gol, li indosso perché vorrei che tante persone conoscessero di più della mia nazione, tutti dovrebbero saperne qualcosa in più e io sempre provo a dire la mia, e vorrei che tutti visitassero la Georgia. Siamo una grande regione, abbiamo tradizioni, e indosso i parastinchi con la sua bandiera perché mi sento protetto. Sono fortunati? Abbastanza, li ho messi un sacco di volte".
Cosa significa per te giocare con la Nazionale?
—"Un po’ come la Champions League, mai avrei pensato di poterla giocare. Il mio primo sogno era di giocare con la nazionale georgiana, forse è il sogno di ogni calciatore georgiano. È la sensazione più bella, specialmente quando tutti i tifosi cantano con te l’inno nazionale. Tutti hanno visto cosa possiamo fare, abbiamo battuto nazionali molto forti, abbiamo avuto una striscia di undici partite senza sconfitte e ne abbiamo vinte più della metà, e se continuiamo così, batterci non sarà facile perchè proveremo a fare del nostro meglio. Spero che riusciremo a soddisfare i sogni dei nostri tifosi, e di fare adesso ciò che non siamo riusciti a fare in passato".
E tuo fratello?
—"È un calciatore molto talentuoso e se continua a lavorare così, riuscirà ad arrivarci. Per quello che posso vedere, vive di calcio: quando sono andato a Tbilisi, mi è sembrato diverso: un paio di anni fa era interessato solo ai giochi per il computer, adesso invece parla di calcio tutto il tempo. Ha un calendario giornaliero nella sua stanza, vuole davvero diventare un calciatore. Spero che raggiunga i suoi sogni e diventi un calciatore migliore di me".
Quale messaggio ti piace dare ai piccoli tifosi?
—"Per raggiungere obiettivi e sogni, bisogna mettere tutto da parte e lavorare duro per arrivarci, è meglio fare di tutto e magari non arrivarci, rispetto al pensare di non aver fatto tutto. Forse si può pensare di non poter arrivare ad un certo livello, ma di avercela messa tutto. Non bisogna essere pigri".
Cosa dici a te stesso?
"Provo a non essere soddisfatto o appagato, dopo ogni partita ho il pensiero di non aver dato abbastanza, di aver mancato qualcosa. Mi dico sempre di non fermarmi mai, di fare il massimo in tutto e per tutto. Non ho ancora fatto nulla, c’è tanto davanti a me e io voglio rendere felici i tifosi e raggiungere i miei sogni".
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