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(Getty Images)
Lorenzo Insigne, capitano del Napoli, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista alla rivista "Undici". L'attaccante, prossimo a trasferirsi al Toronto, ha parlato a 360 gradi di passato, presente e futuro della sua carriera.
Di seguito la lunga intervista a Lorenzo Insigne:
“Il più grande pregiudizio nei miei confronti è stato l’altezza.La mia scuola calcio era affiliata al Torino, mi fecero firmare una carta che a 14-15 anni sarei andato da loro per un provino. Partii, feci due-tre allenamenti, giocai una partita e mi mandarono a casa perché ero troppo piccolo fisicamente, L’unico che ha creduto in me è stato Peppe Santoro, al settore giovanile del Napoli. Quando ero bambino, c’erano società che prendevano ragazzi senza qualità tecniche. Bastava che avessero il fisico. Ora mi pare ci siano più opportunità, anche per esordire a diciotto o diciannove anni come professionista”.
“Ho un carattere particolare. So scherzare con tutti, ma all’inizio tengo le distanze. Per alcuni tifosi è superbia, sembra che me la voglia tirare. È solo un atteggiamento di difesa. Qualcuno non mi ha mai compreso al 100 per cento. Chi mi conosce davvero, sa come sono fatto. La gente si è sempre aspettata tanto da me. Ho cercato di ricambiare. Ho avuto degli screzi qualche volta coi tifosi e mi dispiace. Un capitano è un garante per le persone che amano la squadra, io credo di aver sempre assicurato che il Napoli non venisse meno all’impegno in campo”.
“Napoli, se non la vivi, non la conosci. Io sono nato qua, potrei non fare testo, ma sento parlar bene di Napoli da tutti i miei compagni dentro lo spogliatoio, quelli che hanno girato tanto il mondo, quelli che sono venuti con le famiglie. Io non potrei dire cose sensate su Torino, se non ho mai vissuto là. Credo debba valere lo stesso per Napoli, che soffre di molti pregiudizi, resta spesso schiacciata da un certo odio che esiste tra i tifosi. Ci rimango male quando dal campo sento quei cori contro la mia terra, spero che un giorno le cose possano cambiare”.
"Zeman è stato decisivo, il primo a credere in me. Benitez mi ha completato: avevo sempre pensato che per me il calcio fosse solo attaccare. Il calcio con Sarri è gioia: mi sono divertito tanto in tre anni, ci è solo rimasta la delusione di non aver vinto lo scudetto. Su Ancelotti non è vero che non ci siamo presi. Avevamo idee diverse, questo sì, su cose di campo. A Gattuso devo tanto. Dopo gli anni di Ancelotti così così, è stato bravo a farmi tornare sui miei passi e a rimotivarmi. Spalletti è una personalità forte: ci ha restituito consapevolezza nella nostra forza”.
"Se dovessi comprare un biglietto, lo farei per una finale di Champions, qualunque sia. Una squadra che mi piace guardare sempre è il Manchester City. Il calcio di Guardiola è imperdibile dai tempi di Barcellona. La sua finale perfetta di Champions sarebbe contro il Liverpool. Alla fine, in tv, non ne me perdo una”.
“All’età non penso. Quando mi accorgerò di non star bene fisicamente, lascerò perdere. Vedendo Ibra a quarant’anni, viene la voglia. Per l’addio di Totti ho pianto. So che quando toccherà a me starò male. Non voglio pensarci”.
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