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Hugo Maradona: “Non mi interessa l’eredità. E quella telefonata di Diego alle 3 di notte…”
“Ciao Hugo, stai dormendo? Tu che dici, Diego? A quest’ora sto ballando?”. Sono le 3 del mattino quando Diego Armando Maradona chiama suo fratello. Un po’ di preoccupazione per Hugo, ma poi la conversazione va avanti in toni scherzosi: “Ma sì, la sua solita voce divertita. Ha chiesto come stavo, se avevo bisogno di qualcosa. Mi ha tenuto sveglio per quasi mezz’ora a raccontargli le partite di calcio che non aveva potuto vedere. “Mi manca il calcio”, ha detto. Tempo qualche giorno, mi rimetto in forma e torno alla mia vita. Gli ho chiesto quando sarebbe tornato in Italia, e lui: vediamo, magari per Natale”. A raccontato è stato lo stesso Hugo, in un’intervista al Corriere della Sera.
Non ha percepito tristezza o sofferenza nella sua voce?
«Assolutamente, era sereno. Se Diego quella notte fosse stato sofferente avrebbe fatto di tutto per non farmene accorgere. Lui era così, non voleva dare fastidio. Siamo in sette tra fratelli e sorelle, ci chiamava tutti ma non parlava dei suoi problemi. Non lo ha mai fatto. Ecco perché dico, con grande dolore, che la verità sulle ultime settimane della sua vita, la conosce soltanto lui».
C’è un’inchiesta, ci sono indagati. Spuntano ipotesi di colpevolezza sulla sua morte. Lei che idea si è fatto?
«Non ho un’idea, forse inconsciamente tendo a non farmela. Ma se non si fosse trattato di morte naturale sarebbe un dolore ancor più forte. Ho fiducia nella giustizia, se c’è un colpevole dovrà pagare. Mio fratello non lo meritava. Ha aiutato tutti, non ha mai chiesto nulla in cambio e in tanti hanno approfittato. Ha commesso errori sicuramente, senza però mai nascondersi. Ha pagato per questo un prezzo altissimo, mettendoci tutte le volte la faccia. Da solo».
Ed è stato lasciato da solo anche prima di morire, secondo lei?
«Dalla famiglia no. Siamo molto uniti, nel nome dei valori che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Diego era fatto così: decideva lui tempi e modi per stare con i suoi cari. Ci chiamava sempre però, e se stava male fingeva di stare bene. Sugli amici, i medici, i vari avvocati non esprimo giudizi. Diego ha portato con sé nell’altro mondo tanti segreti».
L’ultima volta insieme?
«Due anni fa a Natale in Argentina. Con Dalma, Giannina, Diego jr. È stato bellissimo ritrovarci tutti insieme. Volevamo tornarci quest’anno, ma la pandemia non mi ha permesso neanche di andare a salutare mio fratello per l’ultima volta».
Cinque figli riconosciuti. Dopo la sua morte ne sono spuntati altri, si è già scatenata una guerra legale per l’eredità?
«I figli di Diego devono stare sereni. Li ha amati molto, ha guadagnato anche per loro, ed è giusto che soltanto a loro vada la sua eredità. Questa caccia al tesoro degli ultimi giorni è molto triste».
Lei si aspetta qualcosa?
«Non mi interessa».
Il più bel regalo che ha ricevuto da suo fratello?
«Mi ha portato a Napoli, lo ringrazierò sempre. Vivo qui e in questo momento l’amore dei tifosi per Diego attenua il mio dolore. Poi, c’è anche una sveglia».
Una sveglia da tavolino?
«Esatto, a forma di Topolino, il personaggio Disney. Mi rimproverava che dormivo troppo, gli dissi che non avevo una sveglia e lui me la fece avere. Grande e con un trillo forte. Ora l’ho passata a mio figlio Tiago che ha 23 anni. Diego è stato il suo padrino».
Com’era suo fratello? La prima cosa che le viene in mente.
«Generoso, buono. Fratello, appunto. Nel senso più profondo. Il suo privato era questo, lo amerò sempre».
Diego pubblico?
«È stato il più grande calciatore di tutti i tempi. Un extraterrestre. Tutti devono ricordarlo in campo: il suo mondo, la sua vita. Per il resto lasciamolo stare in pace almeno adesso. È già stato giudicato abbastanza, mi pare. Per tanti è stato un business vivente, ma con noi era una persona normale. Siamo figli degli stessi genitori, lui ad un certo punto è andato a mille. Ma quando ci ritrovavamo eravamo uguali, i ragazzi di Lanus».
A pensarci oggi, avrebbe potuto fare di più per lui?
«Facile adesso dire di sì, ma lui aveva la sua vita. Ed era difficile entrarci».
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