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L'ex calciatore e campione del mondo con la Nazionale Italiana del 1982, Francesco Graziani, ai microfoni di Soccermagazine, ha rilasciato una lunga intervista con al centro numerosi temi: l'ex centrocampista si è soffermato sulle squadre di Serie A, sull'Italia e l'attualità del calcio italiano in generale. Di seguito l'intervista completa:
"No, in particolare no. Non ci sono stati grandi movimenti di grandi calciatori. Tranne Ronaldo non mi sembra che ci sia qualcosa di particolare."
Con Ancelotti il Napoli si è aggiudicato il tecnico più titolato della Serie A, ma sul mercato si è mosso poco. Lei che è stato un grande attaccante, pensa che un allenatore possa supplire all’assenza di un bomber?
"Il Napoli il bomber ce l’ha, hanno Milik. Per loro Milik è il bomber, poi c’è Mertens che nel ruolo che gli aveva ritagliato Sarri era diventato un top player per i goal che faceva. Il Napoli ha ritenuto opportuno essere forte della propria identità. Quando parla De Laurentiis ti dice che non ha venduto nessuno dei grandi calciatori che il Napoli ha, tranne Jorginho, e quindi sono forti della stessa squadra che avevano negli anni passati. Poi non tutte le stagioni sono uguali, possono essere più positive o meno positive, ma non credo che Ancelotti da solo possa fare molto di più di quello che è riuscito a fare Sarri con quella squadra".
"Penso proprio di sì, io credo che alcune squadre si siano avvicinate. Il Napoli stesso è abbastanza vicino, al di là della sconfitta di ieri. Noi dobbiamo guardare al di là di quelli che sono stati i risultati di ieri. Io credo che l’Inter sia una squadra che si può avvicinare alla Juve per contenderle eventualmente la possibilità di non rivincere, però se tanto mi dà tanto, è iniziata la stagione, questi hanno già 9 punti e tra le cosiddette squadre che sono interessate a toglierle questa possibilità c’è solo il Napoli che ne ha 6, poi l’Inter e la Roma ne hanno 4 e il Milan 3 anche se deve recuperare una partita, quindi ho l’impressione che la Juve abbia già preso il largo".
In questi giorni si fa un gran parlare della squalifica per bestemmia di Mandragora, che è stata anche accolta con stupore dai giornali stranieri. Cosa ne pensa considerando anche che in molti invece sembrano farla franca?
"Io mi ricordo che ai miei tempi ad essere squalificato fu un giocatore del Como proprio contro la Juventus, per aver bestemmiato in campo. Era il ’77 o il ’78, si parla quindi di 40 anni fa. Non mi stupisce il fatto che un arbitro possa aver preso una decisione del genere, considerando che comunque la bestemmia è un atto disdicevole nella bocca di tutti, soprattutto quando puoi essere inquadrato dalle telecamere. Se bestemmi il Signore, la Madonna e i santi credo che tu non sia un bell’esempio, quindi non va fatto. Poi se sia giusto o sbagliato non lo so, però evidentemente nel regolamento c’è scritto che se tu bestemmi i santi, il Signore o la Madonna potresti incorrere in una squalifica e così è stato, quindi non mi stupisco".
Milan-Roma è stata una partita particolare anche perché la prima con i due capitani storici in dirigenza. A differenza di Maldini che ha detto subito la sua dopo l’insediamento nella società, Totti si sente meno spesso. Le dispiace vederlo meno presente sulla scena?
"Lui è sempre presente. Che sappia io tutti i giorni a Trigoria parla con Monchi, parla con Di Francesco, parla con il direttore Baldissoni, segue la squadra in casa e in trasferta. Pubblicamente Maldini cosa ha fatto di diverso? Ha esternato qualche cosa nell’immediato della partita, ma in altre circostanze abbiamo visto che anche a Totti hanno chiesto qualcosa e lui ha risposto, per cui non credo che Totti abbia un ruolo diverso o inferiore rispetto a quello che oggi ha Maldini.
Negli ultimi anni molti riferimenti storici della Juventus hanno conosciuto addii indesiderati per diversi motivi, tra Del Piero, Buffon e Marchisio. Secondo Lei le società devono usare più tatto o comunque devono mettere in primo piano le proprie finalità?
"Devono mettere in primo piano le loro finalità. Il calciatore è un prestatore d’opera. Lo credo per Del Piero, Marchisio, Buffon e tanti altri grandi calciatori o meno grandi, perché poi alla Juventus sono passati tanti altri calciatori che hanno fatto bene, ad esempio Tacchinardi: scherzando e ridendo ha vinto 5-6 scudetti alla Juventus in 10-11 anni e credo che abbiano usato lo stesso metro di giudizio che hanno usato per gli altri. È un “dare e avere”: vai alla Juve, come vai al Milan, all’Inter, alla Lanerossi Vicenza, fai un contratto, per quello ti pagano e alla fine quando scadono i contratti ognuno va per la propria squadra. Non credo che bisogni usare un tatto particolare nei confronti di uno rispetto ad un altro. Il comportamento è uguale per tutti. Una società ti paga per quello che tu gli dai e tu ricevi in base a quello che hai dato. Io non ci trovo niente di disdicevole. Quando anche un grande calciatore, come può essere Del Piero o Marchisio, finisce il suo contratto va da un’altra parte".
Nella Nazionale dell’ultimo decennio sono mancati i Totti, i Baggio e i Del Piero. Secondo Lei oggi l’azzurro rappresenta ancora un calcio di livello internazionale o solo e semplicemente il meglio che è disponibile in Italia?
"Noi come tutte le altre nazionali attraversiamo dei cicli, dei periodi positivi e dei periodi meno positivi. Ci sono stati degli anni in cui abbiamo sfornato grandissimi campioni, addirittura qualcuno ce l’avevamo anche in panchina. Per esempio nel 2006, benché avessimo vinto il campionato del mondo, Del Piero era l’alternativa di Totti. Oggi siamo un po’ più in difficoltà perché abbiamo buoni calciatori, ma non abbiamo i grandi talenti. Stiamo abbastanza bene in difesa con Caldrara, con Rugani, con Romagnoli, con Bonucci, con Spinazzola, con Zappacosta, in mezzo al campo abbiamo Jorginho che secondo me in questo momento è il riferimento primario e in avanti abbiamo Belotti, Immobile, Balotelli, ci sono dei giovani interessanti che si stanno affacciando per la prima volta al grande calcio, però il fuoriclasse non ce l’abbiamo. Io comunque credo che ogni nazionale che gioca contro di noi un po’ si preoccupi perché noi storicamente, anche nei momenti meno positivi come può essere questo, abbiamo dei buoni calciatori e si fa fatica a vincere contro di noi".
Durante gli ultimi Mondiali Lei si è intrattenuto quotidianamente in delle dirette Facebook con i tifosi, ottenendo un buon riscontro ed ipotizzando di ripetersi per il campionato. Ci sono novità per rivedere Graziani nel prossimo futuro?
"Per ora ancora no, ci sto pensando perché alcuni ragazzi mi chiedono e mi scrivono perché a loro faceva piacere avere un contatto con me, dialogare me o ascoltare quello che raccontavo e dicevo. Ci sto pensando, vediamo quello che si decide, però non so se rimettermi ancora sul “mercato dei social” perché non so se possa trarne dei vantaggi o meno, ma non dal punto di vista finanziario, ma da quello dell’immagine perché alla lunga diventa un impegno che va curato bene".
Rispetto ai tempi in cui Lei giocava, quanto è cambiato il rapporto tra i tifosi e i calciatori, che oggi appaiono mitizzati e divinizzati da televisioni e social? Il paradosso è che Graziani ha vinto un Mondiale ed è più umile di molti altri…
"Noi veniamo da un’altra generazione, la verità è che il mondo è cambiato, è cambiato radicalmente. Oggi, come dici tu, il rapporto tra il tifoso e il calciatore non esiste più. Io mi ricordo che ai miei tempi, quando ci allenavamo, i nostri campi di allenamento erano aperti al pubblico e c’erano sempre quelle 100-200 persone che venivano a vedere, finivi l’allenamento, uscivi e facevi la foto o l’autografo, non c’erano i telefonini come oggi con i selfie, con le riprese, con quello che ti chiede di fare questo, quello che ti chiede di fare quell’altro. E allora oggi il contatto è completamente inesistente. Una volta c’erano i club, ad esempio. Noi spesso andavamo a dialogare con i tifosi nei club e sentivi con il cuore in mano la passione delle persone e oggi un tifoso per vedere il calciatore o lo vede allo stadio o non lo vede da nessun’altra parte. Questo secondo me è sbagliato perché vediamo che nonostante tutto gli stadi sono vuoti, l’ho visto anche ieri a Reggio Emilia: una società come il Sassuolo che va in Serie A dovrebbe avere il pienone tutte le domeniche, invece purtroppo – complice molto probabilmente anche l’apporto televisivo – la gente preferisce starsene a casa, i nostri stadi sono obsoleti, poco confortevoli, le restrizioni che ci sono sono molto penalizzanti. Ci sono anche tante altre cose da prendere in considerazione, però il tifoso soffre la mancanza del contatto col calciatore. Oggi non c’è possibilità che tu possa andare a vedere l’allenamento di una squadra e quindi anche i bambini si affezionano di meno.".
Redazione
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