Protagonista a Sanremo nel PrimaFestival, Ciro Priello, comico napoletano die famosi The Jackal, è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport ed ha parlato del Napoli e di Insigne.
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Ciro dei The Jackal: “Il Napoli è l’amore della mia vita. Insigne? Non lo giudico…”
Le parole del noto comico napoletano
Ciro dei Jackal sul Napoli e su Insigne
Le parole di Ciro dei The Jackal:
"Il Napoli è l’amore della mia vita, mi permette di staccare dagli impegni familiari e lavorativi e sono contento che, dopo tanto tempo, mi prenda ancora così tanto. Spero non passi mai. Anche se, negli ultimi anni, l’affetto dei tifosi è stato messo in crisi: noto una disillusione palpabile persino a Napoli, da qualche stagione. Lo scudetto perso con Sarri in panchina e con situazioni poco chiare, certe gestioni arbitrali con difformità di giudizio, il calcio dei grandi debiti. Ma io, del tifo, continuo a non poter fare a meno".
La prima partita dal vivo?
"Una sconfitta in casa contro la Roma, ero bambino, mi portò mio padre all’allora San Paolo. Non conoscevo nemmeno i nomi dei giocatori. Poi ho avuto i primi beniamini, mi viene in mente Igor Protti, più avanti Jankulovski o Mancini tra i pali. Sono cresciuto con un Napoli meno ambizioso di quello di oggi e ricordo le delusioni di mio padre: una delle poche volte in cui l’ho visto piangere è stata quando siamo retrocessi in Serie B, nel 1998".
"Non siamo mai stati bravi a giocare a pallone", è il titolo di un libro dei suoi The Jackal. E allora, lei a cosa giocava?
"Ma guardi che io ho giocato. Sono stato un portiere nel Giugliano (che oggi domina in D), non lontano da casa, per tre anni, solo che poi mi sono appassionato alle discipline artistiche e ho lasciato. Ma amavo giocare".
Cosa la attirava della solitudine del portiere?
"La responsabilità, la visione ampia del campo, la possibilità di essere un punto di riferimento per la squadra, anche se non tutti sanno apprezzare questo aspetto. Gli amici mi consideravano lo sfigato messo lì, in un ruolo che nessuno voleva occupare. Si sbagliavano".
Come si può spiegare il culto laico per Maradona?
"Io sono del 1986, Maradona l’ho ammirato solo nelle videocassette comprate in edicola. Era un modo per distrarsi dal Napoli di livello più modesto che ho conosciuto da ragazzino. Ma, se penso a mio padre, capisco come verso Diego ci fosse una forma di venerazione, fin di sottomissione. Era una sorta di capopopolo, di cui ho compreso la dimensione, in città, solo il giorno in cui è morto. Non è retorica dire che abbia incarnato un riscatto di cui i napoletani avevano bisogno. Il rispetto verso di lui è stato trasmesso alle generazioni successive di tifosi. Ma c’è una cosa che mi dispiace e riguarda la maglia numero 10".
Perché la 10?
"Perché non si potrà mai più vedere un giocatore con la 10 nel Napoli. Peccato".
Cosa dice del Napoli di oggi?
"La squadra di Spalletti mi pare più consapevole dei propri mezzi rispetto a quella di Gattuso, che pure non mi dispiaceva. Insigne? È un peccato che vada via ma non mi sento di giudicarlo, i tempi sono cambiati e vale per tutto il campionato".
Il calcio potrebbe imparare qualche cosa dagli altri sport? E cosa, in particolare?
"Li seguo poco. Forse sarebbe utile imitare il basket, per esempio introducendo i time-out. A proposito, tenga presente che io ho fatto anche il pivot".
Però. Quando?
"A scuola. Non ho mai giocato una partita, in realtà, e non per colpa mia. Non si trovavano avversari. Un giorno, proprio con la squadra scolastica, ci siamo presentati in divisa in casa di una formazione avversaria. Finalmente eravamo riusciti a organizzare un incontro. Gli altri, però, non si fecero vedere, quindi vincemmo a tavolino. A Napoli preferivano tutti il calcio".
Ma ci sarà un campione che vorrebbe conoscere...
"Marek Hamsik. Vorrei domandargli cosa abbia significato per lui arrivare a Napoli, cosa lo abbia fatto innamorare della città, cosa abbia provato quando è andato via dopo tanti anni, praticamente da figlio adottato. Domande che, in parte, vorrei fare anche a Mertens, anche se lui è ancora in squadra".
Come spiega l’esistenza di napoletani che non tifano Napoli?
"Non ne ho la minima idea. Eppure ce ne sono persino nel mio palazzo. Forse è gente che, quando era giovane, viveva un forte senso agonistico e, negli anni peggiori del Napoli, si è affezionata ad altre squadre. Io, no".
Perché?
"Non volevo vedere piangere mio padre. Sono tifoso per compassione".
E ridere, del calcio, si può?
"Ci mancherebbe altro. Perché no?”.
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