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Rolando Maran, allenatore del Chievo Verona, ha rilasciato un'intervista sulle colonne odierne de La Repubblica. Questi alcuni passaggi:
Maran, come si ferma la capolista?
«Dovrei telefonare a Spalletti, in Italia c’è riuscito solo lui».
Spalletti ministro della Difesa, Sarri dell’Economia. E lei?
«Un ministro senza portafoglio. Che deve tener d’occhio la poltrona a ogni rimpasto di governo, sennò gliela portano via...»
Ci sono analogie fra Chievo e Napoli?
«Me lo auguro. Nel nostro piccolo, anche noi inseguiamo l’obiettivo tramite il gioco. Possiamo perdere, ma non mutiamo il Dna. Vengono fuori partite divertenti. Anche se ultimamente si sono divertiti gli altri...».
Contro la Sampdoria lei ha preso quattro gol e ricevuto complimenti per la prova.
«Se ne prendi quattro, non puoi essere contento. Puoi però sentirti confortato: una buona prestazione è indice di un investimento a lungo termine».
I complimenti di Guardiola al Napoli sono stati sinceri?
«Sì. Ho conosciuto Pep, cenato con lui e passato ore a parlare di calcio. L’Europa è un campionato a parte, il Napoli ha difeso la sua identità per quasi tutta la partita e i complimenti se li è meritati. Piacerebbe anche a me sfidare Guardiola...».
Lei è stato accostato all’Atalanta, alla Fiorentina. E al Napoli, per il dopo Sarri.
«Al Chievo sto bene, è casa mia, l’ambiente ideale. Ma sarei ipocrita se negassi che mi piacerebbe anche correre per qualcosa in più della salvezza. Ho voglia di scoprire, sperimentare. Un allenatore è un esploratore. So di valere, ma mi metto in discussione ogni giorno, senza integralismi».
Quale aspetto la colpisce di più del gioco di Sarri?
«La capacità di recuperare la palla appena persa. In pochi secondi scatta un meccanismo aggressivo, quella fame che di solito leggi negli occhi delle provinciali. Poi, certo, la frequenza e la velocità dei passaggi. Ma la voglia di riprendere il pallone è pari a quella di far gol».
Sarri da sempre studia gli avversari in modo maniacale.
«Nel calcio moderno la videonalisi, la conoscenza, l’uso dei dati, sono imprescindibili e sono sintomo di attenzione e amore per il lavoro. Ma devono essere uno strumento, non un surrogato. L’enorme flusso di informazioni va veicolato correttamente. E resta decisiva la lettura che i giocatori fanno delle situazioni in campo, altrimenti non si spiegherebbe perché le squadre che vincono sono quelle con i campioni. Quando giocavo, da difensore, mi davano giusto un foglietto sull’attaccante da marcare. Certe volte trovavo scritto: ‘è un destro, ma bravo pure col sinistro’. E mi dicevo: ‘ah, grazie tante...».
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