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Carlo Ancelotti si è innamorato di Napoli, l’ha scoperta troppo tardi e vorrebbe recuperare il tempo perduto: non la lusinga attraverso frasi a comando, stimolate da domande che possono nascondere un filo di retorica («resteresti qui anche alla fine della carriera?») ma la esalta e la condivide attraverso una sfida civile, quella contro il razzismo, che gli appartiene come uomo e che probabilmente è stata ulteriormente stimolata dai cori che ha avvertito in troppi stadi e che gli sono entrati nella testa e nella pelle.
Poi da quel momento, autunno scorso, il discorso sul rinnovo non ha più avuto seguito, almeno sino alla settimana scorsa, quando De Laurentiis e Ancelotti hanno richiacchierato e sono partite battute da una parte e dall’altra e al presidente è venuta quella idea da trasformare in tentazione: «Hai tre anni di contratto, si può anche per altri tre». Il che significa raddoppiare, lanciare un ponte sino al 2024, consolidare un legame e dunque istruire un progetto comune che non debba, eventualmente, deviare, come capita naturalmente quando ci sono avvicendamenti in panchina. CdS .
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