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Ancelotti, De Laurentiis, Insigne | Non si arriva alla pace fin quando non si trova il colpevole dello scoppio della guerra. Tutti i trattati si siglano nel momento in cui la maggior parte è d'accordo sull'assegnazione delle colpe e la distribuzione della carica di vittime. Questa storia, quella della stagione tumultuosa del Napoli, è destinata a procrastinarsi per lungo tempo, perché tra il viavai di risultati incerti, calciatori scontenti e l'allenatore parafulmine di ogni vicissitudine, non è chiaro l'orizzonte delle risposte. L'unica realtà concreta è che attualmente la squadra guidata da Carlo Ancelotti è seconda in classifica e fuori da Coppa Italia ed Europa League. Uno scenario che, letto così, non differisce da quello delle ultime stagioni, in particolare dell'ultima. Tuttavia il modo in cui l'annata è giunta a questo punto rende poco sereno il cielo sopra il Vesuvio. Nelle ultime sei partite, per riassumere la caduta libera, il Napoli ha vinto soltanto contro il Chievo, passando per le due sfide contro l'Arsenal, entrambe perse senza siglare nemmeno una rete. E, onestamente, senza nemmeno provare a giocare a calcio. Da dieci match consecutivi, poi, gli azzurri subiscono almeno una rete a partita. Un dato che spaventa, se si considera che ha ragione Ancelotti quando definisce "atteggiamento difensivo" un compito non affidato esclusivamente alla difesa, bensì all'intera squadra. Un girone di ritorno di Serie A che sembra condotto da una squadra diversa rispetto a quella che aveva disputato l'andata, la quale aveva illuso che il post-Sarri potesse essere a suo modo divertente anche nell'espressione del gioco.
Non si nasconde più, a questo punto, Ancelotti. Il tecnico del Napoli, che ha sempre cercato di tenere il timone scansando le mareggiate, non mente né dissimula: "Abbiamo perso stimoli e concentrazione". Una formazione che ormai, in campo, resiste poco più di mezz'ora: un gioco a sprazzi, leggermente accennato ma abbastanza svogliato. Perché? Delusione, evidentemente. Quella che si prova vedendo svanire, di partita in partita, ogni obiettivo stagionale.Nuovo.
Già, perché probabilmente il problema sta nell'assenza di nuovi scenari. Posizionarsi secondi in classifica, centrare ancora la qualificazione in Champions League ed essere l'unica anti-Juve (sebbene quest'anno non se ne sia vista nessuna, in verità), che soddisfazione può dare? E' indubbiamente una sicurezza per la società, che si è incamminata virtuosamente sulla strada dell'internazionalizzazione e affermazione del Napoli in Italia e nel mondo. Tuttavia un adagio mai vecchio recita che il secondo è il primo nella fila degli ultimi, e non c'è modo di non dare ragione a chi lo crede. Soprattutto se ci si ferma a -20 dalla prima in classifica, senza aver mai dato la sensazione che l'ordine potesse invertirsi. E' questa l'emozione della scorsa stagione a cui lo spettatore appassionato si sente legato ancora.
La passione, già. Sempre meno accesa, viva. "La metà più uno" si dice a qualche latitudine ed è questa l'essenza del tifo, ma il San Paolo 2018-19 è lontano anni luce da quello delle scintillanti coreografie o dei pienoni permanenti. E anche qui di chi è la colpa? Lo sport non ha senso di esistere se non è accompagnato da chi occupa gli spalti, eppure il discorso è vicendevole: non esiste tifo se non alimentato. Spesso non c'è il bisogno spasmodico del risultato, ma non può mancare nemmeno l'atteggiamento giusto per ricercarlo. Il Napoli è vuoto e svuotato. Carlo Ancelotti è stato chiamato in qualità di uomo del "nuovo ciclo", ma in fila sulla porta del cambiamento nessuno l'ha accompagnato. Evidentemente è vero che l'amore è eterno finché dura, poi bisogna cambiare. Non esistono gli "anni di transizione" nel calcio, a meno che si combini la spina dorsale, lo zoccolo duro con un carico di new entry. Il Napoli, invece, ha mantenuto l'ossatura e l'ha ritoccata leggermente per poi stravolgerla a gennaio: la bandiera issata da Marek Hamsik ha seguito il vento della Cina e la sensazione è che si siano perse le redini del centrocampo ma anche l'idea di gruppo, che tanto bene aveva fatto. Se bisognava contare su quello, allora perché rimaneggiarlo fino ad annullarlo?
Il caso Insigne, neo-capitano azzurro, è forse il più emblematico di questo terremoto, che già produce rovine. Un giocatore simbolo, impiegato e considerato alla stregua della maggior parte. Un calciatore il cui status symbol non ha subito un'evoluzione d'immagine, poiché l'opportunità fino e in fondo non sembra essergli stata data. L'unico caso in cui è accaduto si è verificato quando a testa bassa ha ascoltato i fischi del pubblico e se n'è lamentato con l'allenatore, che al 60' di Napoli-Arsenal l'ha mandato in panchina per schierare Younes. Il perché di questa scelta, che spesso viene liquidata accostandole l'aggettivo "tecnica", non sarà mai chiaro e lascerà spazio a ogni interpretazione. Si sostiene verosimilmente che dietro ci sia molto più che una decisione dell'allenatore, forse esiste un piano futuro che non lo prevede più con la maglia del Napoli. E la figura di Mino Raiola è un contorno che si fa sempre meno sbiadito dietro il tabellone che segnala il cambio. D'altronde, tutte le "rotture" e i contratti sciolti degli ultimi anni sono partiti da una bordata di fischi, incomprensioni e parole taciute. Il Napoli ha perso stimoli perché bisogna crescere, un gruppo sente la necessità di farlo. "Ci siamo scocciati di non vincere", aveva asserito parafrasandolo proprio l'attuale capitano. Un pensiero criticato perché scandito chiaramente, ma impossibile da non condividere. Carlo Ancelotti non basta, perché può essere parte di un progetto, ma non può esserne l'unico interprete.
Spesso l'allenatore si è definito fieramente aziendalista e la sensazione è che stia perseguendo la strada della difesa a spada tratta della linea societaria, in attesa che cambino gli scenari quando terminerà la partita col Bologna. Ma è giusto che ci metta la faccia? La sensazione è che stia perdendo le risposte, mentre aumentano sempre di più le domande che necessitano di una, ma che sia la verità. E la verità risiede innanzitutto nell'evitare proclami, perché ogni promessa diviene facilmente la pretesa di un desiderio, che si scontra con troppe realtà mobili, difficili da gestire in mancanza di un planning efficace. E la fortuna non ne è parte. Osvaldo Soriano, uno dei giornalisti e scrittori più noti del panorama calcistico mondiale, una volta scrisse: "Il calcio è dubbio costante e decisione rapida". Il Napoli ne deve sciogliere molti e prenderne qualcuna, in fretta. L'attesa è terminata.
di Sabrina Uccello
Redazione
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