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Lottava col cancro da sette anni, lottava con rabbia come quando era in panchina. Emiliano Mondonico era così, un'icona nazional-popolare del calcio pane e salame. Generoso, ribelle, spiazzante, mai banale. Quello che, da giocatore, si faceva squalificare apposta per non perdere il concerto dei Rolling Stones al Palalido di Milano. Ma che amava anche i Beatles, tanto da aver sperato fino all'ultimo di seguire a Liverpool l'amata Atalanta che lo scorso dicembre ha umiliato l'Everton. Quello che nella sera della finale Uefa del Torino ad Amsterdam alzava la sedia per protestare contro l'arbitro. Nell'immaginario collettivo quel gesto è diventato il simbolo di chi non sopportava le ingiustizie: dopo la prima operazione, decine di granata si ritrovarono al Filadelfia, che era ancora un rudere, alzando una sedia A Firenze, poi, gli hanno dedicato una via. Amatissimo, oltre i colori della maglia. "Ci sono trenta possibilità su cento che la Bestia ritorni", aveva detto qualche mese fa pensando al controllo di febbraio. Dopo quattro interventi, l'asportazione di una massa tumorale di sei chili, di un rene, di un pezzo di intestino, aspettava la Bestia con il solito coraggio. "Il calcio mi dà la forza di per continuare la sfida", diceva e ripeteva a chi lo conosceva e lo amava. Aveva compiuto 71 anni appena 20 giorni fa.
CHE NOTTE COL MALINES — L'Emiliano di Rivolta d'Adda ha attraversato diversi decenni del calcio di provincia, e non. Da giocatore: Cremonese, Torino, Monza, Atalanta, ancora Cremonese. Da allenatore: nel 1984 riporta la Cremonese dopo 54 anni in A, nel 1988 fa salire l'Atalanta ed è protagonista di una straordinaria corsa fino alle semifinali di Coppa Coppe col Malines. La partita di Bergamo, una sconfitta per 2-1, è rimasta scolpita nella memoria dei tifosi nerazzurri. Poi vive un'esaltante esperienza col Torino (vedi la sedia ricordata sopra). Torna all'Atalanta un'altra volta, dal 1994 al 1998, va ad allenare al Sud (Napoli e Cosenza), guida la Fiorentina, i cugini di campagna dei bergamaschi (l'AlbinoLeffe), ancora la Cremonese, prima di chiudere col Novara, l'ultima squadra allenata quando la malattia si era già manifestata . Nel 2012 abbandona il calcio professionistico, non il calcio, quello ruspante che non aveva mai dimenticato. Era un testimonial del Csi e dei suoi valori di lealtà sportiva e rispetto del prossimo; allenava i ragazzi delle medie di Rivolta, gli ex alcolisti e degli ex tossicodipendenti. E faceva il commentatore in tv, con passione e competenza. Sì, il Mondo mancherà a tantissime persone. Gazzetta.
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