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Pelé e Maradona, due geni (che non si sono mai amati) a confronto

pelé maradona
La riflessione di Massimiliano Gallo

Emanuela Castelli

Pelé raggiunge Maradona nell'Olimpo degli dei. Il Re del calcio e il Pibe de Oro a confronto in una lunga riflessione di Massimiliano Gallo, pubblicata oggi sulle colonne del Corriere dello Sport. Istituzionale il primo, ribelle il secondo. Il loro rapporto con i vertici del calcio mondiale fu di segno opposto: il brasiliano fu amatissimo dalla Fifa, il campione argentino la accusò di corruzione.

Pelé e Maradona, tra il Re e il D10s l'appuntamento è lassù

morte pelé
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Ecco quanto, delle parole del Direttore de Il Napolista, evidenziato da CalcioNapoli1926:"Non si sono mai amati. L’uno il contrario dell’altro. E il paradosso ha voluto che l’uomo dell’establishment, del politicamente corretto, fosse nero. Il ribelle, il cattivo esempio, è sempre stato il bianco. Calcisticamente il dibattito sarà infinito. In Italia se ne occupò persino Limes rivista di geopolitica, fiore all’occhiello dell’intellighenzia nostrana. Figuriamoci se possiamo risolverlo noi. A Napoli ci provarono con una canzone divenuta celebre per il suo primo verso: Maradona è meglio ‘e Pelé. Edson Arantes do Nascimento è stato la prima rockstar del mondo del calcio. Ha anticipato i Beatles. Incarnava il bravo ragazzo, perfetto da sposare. Idolo delle ragazzine e delle mamme. Pelé incantò ai Mondiali del 1958, con la grazia, il sorriso e l’ingenua spavalderia di un ragazzo di diciotto anni catapultato in un Paese lontano: la Svezia. Fu lui a esorcizzare la maledizione brasiliana del Mondiale, a regalare la gioia a un Paese ancora sotto shock per il Maracanazo del 1950. Invertì il corso della storia. La leggenda del Brasile è nata con lui. In finale segnò due gol agli svedesi di Liedholm, uno da antologia con un sombrero al centro dell’area di rigore. È ancora oggi uno dei più belli della storia del football. Fu quello l’anno in cui salì sulla giostra e non ne scese più. Giostra calcistica e commerciale. Le aziende cominciarono a contenderselo. Lui sfoderava il sorriso. E i prodotti vendevano. Talentuoso. Bello. Vincente. Elegante. Tranquillizzante. Pelé era un perfetto testimonial, un uomo copertina. Non a caso l’America lo ingaggiò per promuovere il calcio a stelle e strisce. Andò a giocare nei Cosmos e vinse anche lì.  

Maradona, invece, di rassicurante non aveva proprio nulla. Né tantomeno di elegante. Esteticamente trascurabile (fuori dal campo, ovviamente), per alcuni impresentabile, con quel pallone faceva di tutto. Aveva il carisma del leader. Al pari di Muhammad Al i , è stato un leader politico prestato allo sport. Perennemente all’opposizione. Decisamente più Rolling Stones che Beatles. O forse sarebbe più corretto paragonarlo a Jim Morrison. Sempre in guerra con i potenti. Dalla parte del pueblo. A lui gli Stati Uniti negarono il visto. Alla perenne ricerca di sfide impossibili. Era divisivo, sempre. E se ne vantava: “Yo soy blanco o negro, gris no voy a ser en mi vida”. Il Mondiale non l’ha vinto certo con Garrincha Didì Vavà oppure Tostao, Rivelino e Carlos Alberto. Forse non si sarebbe nemmeno divertito a conquistarlo così. Diego aveva bisogno di ascoltare il rumore dell’epica, oltre che dei nemici, di avvertire sulla propria pelle quella sensazione di essere in lotta da solo contro tutti".  

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