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Il Napoli sta subendo un tracollo continuo. Dal gioco ai risultati, non si intravede una fine degna. Il Corriere dello Sport ha provato a spiegare come sia scaturita questa crisi nera e come venirne fuori.
Manca il gioco, andato via via sbiadendosi in una confusa miscellanea di schemi; mancano la condizione e la convinzione, perché questo Napoli corre male, spesso a vuoto; manca il senso di un obiettivo, perché Gattuso è finito nella franosa terra di nessuno, con i club più piccoli che mordono dalle retrovie di una classifica che sgomenta; manca la serenità, che non si acquista al mercato di gennaio. La vecchia guardia vive di sprazzi, e con i guizzi non si vincono le partite; la nuova non ha saputo mai recuperare il bandolo della matassa, fattasi fin troppo intricata anche per uomini come Manolas e Lozano, gente che ne ha viste tante. E che qui sembra non capirci nulla.
Non c’è una sola spiegazione per questo tracollo. La collezione di figurine non dà punti né rimette in piedi una stagione che da grigia sta diventando buia e scellerata. Troppi nodi - tecnici, gestionali, contrattuali - non sono stati sciolti a tempo debito, e la tela si è sfilacciata irreparabilmente. Facile capire quando un ciclo nasce, ci sono segnali precisi, inequivocabili; più difficile, anche sul piano psicologico, intuire a tempo debito quando una fase sta per chiudersi.
Gattuso sapeva di non avere un compito semplice, ma forse non immaginava di trovarsi con briciole e cocci tra le mani. Ieri sera, con la delusione scolpita sul volto, ha avuto parole durissime. Chiedendo scusa con dignità. La società, adesso, non può che sostenerlo. Non accampando alibi, ma con un lavoro concreto, anche a costo di scelte dolorose. Per non affondare. Per salvare il salvabile.
A oggi, meglio non pensare a quello che potrebbe accadere il 25 febbraio contro il Barcellona di Messi, ottavi di Champions. Martedì c’è la Lazio in Coppa Italia, domenica la Juve. Non serve solo il ritiro come panacea, ma proprio un altro Napoli. Se c’è ancora.
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