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La più grande risorsa del Napoli, e probabilmente anche la vera speranza, in questo momento si chiama Arkadiusz Milik. Detto Arek. Un nome che fa rima con gol: 10 complessivi in 12 partite (uno ogni 85,5 minuti); 7 dei quali in campionato. In 9 partite di campionato, per la precisione: nessuno come l’attaccante polacco tra i giocatori di Serie A, ma anche a livello europeo.
E allora, la parabola di Arek. Che dopo aver fronteggiato in due riprese l’immancabile maledizione annuale - questa volta una tendinite al pube -, gode ora di ottima salute. E di una salutare aurea realizzativa: 10 griffe d’autore tra il campionato (9 gettoni) e la Champions (3), e l’alloro del miglior attaccante del Napoli sulla testa. Con tanto di record del club: con la tripletta realizzata in coppa con il Genk nella notte dell’esonero di Ancelotti, infatti, Milik è diventato il primo giocatore della storia azzurra a calare un tris nella competizione.
Numeri importanti, altroché, eppure intorno ad Arek aleggia sempre un’ombra di scetticismo: come se a far rumore siano soltanto certi errori, tipo il colpo di testa mancato proprio con i nerazzurri a due passi da Handanovic, piuttosto che i graffi ripetuti in serie con una splendida media spazio/tempo. Per sua fortuna, comunque, il carattere è duro come l’acciaio inox, e non potrebbe essere altrimenti considerando la caparbietà con cui è venuto fuori da due interventi in sequenza ai crociati di entrambe le ginocchia tra il 2016 e il 2017, e gli allenatori lo stimano. Sì: la fiducia nelle sue doti, nel suo sinistro, è il filo sottile che lega Gattuso a Carletto.
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