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(Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
L'edizione odierna del Corriere dello Sport commenta la cessione di Kostas Manolas all'Olympiacos. Che il greco volesse tornare in patria era scritto sulle tavole di questa stagione sin da agosto scorso, dal ritiro di Castel di Sangro. Ma che dovesse scappare a tre giorni da una delle sfide più complesse e rilevanti di questa fase del campionato, e che potesse persino, alla faccia di qualsiasi protocollo e delle più elementari norme del galateo, firmare e presentarsi alla sua nuova società, è un avvilente ceffone alle regole e al buon senso che il Napoli ha deciso di spalleggiare. Incurante non tanto del proprio destino ma della propria dignità.
Il Napoli e Manolas potevano tranquillamente separarsi dal 2 gennaio del 2022, nessuno si sarebbe scandalizzato, non sarebbero stato necessario far volare gli stracci, né sarebbe divenuto pubblico il contenuto rovente di alcune telefonate passate tra De Laurentiis e il greco. Ormai, non erano più fatti l’uno per l’altro, e da un bel po’. Ma la scena-madre di questa rottura non può essere racchiusa nella fuga a sorpresa verso Atene. E men che meno nell’inelegante chiusura di un affare, mentre formalmente il mercato è ancora chiuso. E il campionato, apertissimo, costringe praticamente Spalletti ad incamminarsi verso Milano con una difesa slabbrata e un senso di precarietà che adesso avvolge non certo lui ma il micro-cosmo che lo circonda. Il Napoli aveva il dovere di pretendere che Manolas curasse il proprio mal di stomaco sino al 22 dicembre, ultima partita disponibile. Con Spalletti ed al fianco dei suoi compagni. Che andasse semmai in panchina per fronteggiare eventuali ulteriori assalti del destino, che desse un senso alla parola «progetto» e lo tenesse vivo. Senza che emergessero le crepe che s’intravedono ora e nelle quali si scorge un orizzonte opaco, privo persino del rispetto che bisogna avere verso se stesso.
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