rassegna

I vent’anni di De Laurentiis, l’ultimo Borbone: sfuriate, acquisti e vittorie

Sara Ghezzi
Un ventennio che ha cambiato le sorti della squadra azzurra

 Il 10 settembre del 2004 un imprenditore romano appartenente al mondo del cinema decide di investire tutto in una squadra ormai fallita che non aveva più campo, palloni e neanche un calciatore. Ha ricostruito tutto costruendosi un personaggio particolare ed unico nel mondo del calcio. Con il suo modo di vedere il calcio è riuscito a riportare a Napoli i trofei, 3 Coppe Italia, una Supercoppa italiana e soprattutto lo scudetto, quello per cui si sono attesi 33 anni. Ma non solo, anche il ritorno nell'Europa dei grandi con 9 qualificazioni in Champions League e 8 in Europa League. Un visionario dai grandi sogni che spesso sembrano utopie, plusvalenze con giocatori su cui in molti non avrebbero puntato e dichiarazioni forti che lo rendono antipatico agli occhi di molti. L'edizione odierna de Il Corriere dello Sportgli dedica un ampio approfondimento. A seguire i punti più salienti.

I vent'anni di De Laurentiis, l'ultimo Borbone: sfuriate, acquisti e vittorie

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"Aurelio ci crede e ci scommette. In capo a pochi anni, cominciando dalla serie C, conquistando la serie A e dilagando in Europa, il calcio gli rende il 90 per cento rispetto al 10 per cento del cinema. Sono rare le annate in cui chiude il bilancio del Napoli in passivo. Quando va in attivo, fioccano i dividendi per il Consiglio di amministrazione (Aurelio, la moglie Jacqueline, i figli Luigi, Edoardo, Valentina, Andrea Chiavelli braccio destro del presidente). Col calcio si guadagna se si fanno bene i conti e non si spende e spande per la vanagloria di costruire uno squadrone che può anche vincere, ma non è sicuro, però certamente manda in tilt il bilancio.  

È successo con Maradona. Aurelio gli assi li prende e li rivende. È il re delle plusvalenze. I centravanti sono il suo tesoro. Acquista Cavani dal Palermo per 17 milioni, lo trasferisce al Paris Saint Germain per 64. Acquista Higuain dal Real Madrid per 37 milioni, lo dirotta alla Juventus per 90. Va a vuoto con Osimhen, il giocatore che gli costa di più, 70 milioni al Lilla, in realtà 50 più il trasferimento misterioso di tre giovani calciatori al club francese, ma non riesce a ricavarne i soldi della clausola rescissoria, 130 milioni. Tratta i giocatori con aristocratico distacco. Una volta disse: «Se Cavani firma a 1,3 milioni e coi premi arriva a due, e poi mi rompe i coglioni e io gliene do addirittura tre, e non gli bastano e mi rompe di nuovo i coglioni, dico basta, rimane qua e lo lascio macerare in panchina».  

L’eloquio è sempre alto con appropriate sottolineature anatomiche. Comprando e vendendo, De Laurentiis vince uno scudetto, tre Coppe Italia, una Supercoppa italiana, partecipa nove volte alla Champions e otto all’Europa League. Viene inserito nella galleria dei maggiori presidenti del Napoli dopo Ascarelli, Lauro, Fiore, Ferlaino. L’Ingegnere è durato 33 anni, un mese e 12 giorni, più di Stalin (31 anni). Imbattibile. Aurelio festeggia il ventennale. Ha 75 anni. Può andare avanti. In vent’anni, ha ingaggiato 12 allenatori e comprato 173 giocatori. Quattro allenatori lo hanno tradito, andando via: Mazzarri all’Inter, Benitez al Real Madrid, Sarri al Chelsea, Spalletti alla Nazionale. Sette li ha esonerati: Ventura, Reja, Donadoni, Ancelotti, Gattuso, Garcia, l’ultimo Mazzarri. Edy Reja ha resistito più di tutti: 164 partite di campionato, due anni in C1, uno in B, due in A. Rudi Garcia è stato il più veloce a mettersi fuori: 12 partite di campionato".


Le conferenze stampa show e lo scudetto

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"A Napoli, Aurelio esprime appieno questo godimento. Scopre l’eloquenza delle conferenze-stampa e le interpreta con irresistibile passione, i capelli ben tirati sul cranio, l’abito elegante, gli occhi da serpente a sonagli. Propone un modello del tutto originale nel calcio, il monologo senza contraddittorio, il trucco dell’affabilità subito soverchiato dal sussieguo del padrone indiscutibile, seguito dallo scoppio di intolleranza con fughe osé nel cinepanettone. Comincia con un sorriso cinematografico, poi da sotto la barba bianca, che comincia a fremere, tira fuori l’ira funesta, l’invettiva romanesca, la frase vendicativa e l’ingiuria definitiva. Uno spettacolo da teatro napoletano con inflessioni trasteverine. Piace agli dei che lo conducono al Bosco Verticale di Milano, un edificio grondante verdura, e qui, per depistare cronisti indiscreti, incontra in uno scantinato Luciano Spalletti. Aurelio torna a Napoli con la stella cometa toscana che gli indica la via dello scudetto. Ci sono in squadra Osimhen, Koulibaly, Insigne, Mertens, Zielinski e la nostalgia del Napoli di Sarri. Spalletti si avvicina allo scudetto, ma lo manca nel finale (terzo).  

L’anno dopo via Koulibay e i poeti del sarrismo Mertens e Insigne. Spalletti si lamenta: «Mi hanno ceduto i migliori». Giuntoli porta a Napoli Kim e Kvratskhelia, sconosciuti spernacchiati dal volgo. Il Napoli vola e stravince lo scudetto. Aurelio gongola, ha dimezzato lo svantaggio su Ferlaino. Nel trionfo perde la testa e perde Spalletti. Inscena allo stadio un kolossal di luci, suoni e balli, attore unico e protagonista Aurelio De Laurentiis, la sua barba, il suo microfono. Lo scudetto è l’affermazione definitiva dell’io sono io e voi non siete un cazzo. Giunto al culmine del successo, ne evita le vertigini e ne fa una conquista personale travestendosi da onnipotente del pallone. Ma precipita dall’alto del suo cielo incappando, l’anno dopo, nel tracollo della sua irresistibile spocchia. Invitando Thiago Motta ad allenare il Napoli, alla domanda del brasiliano su chi fosse il direttore sportivo, andato via Giuntoli, gli risponde faccio tutto io, e quello scappa.  

Dal baratro di un decimo posto che cancella scudetto, entusiasmo, simpatie e solidarietà di circostanza, e cancella lui stesso, Aurelio che fa tutto lui, prima di precipitare afferra Antonio Conte e si salva. Ha imparato la lezione. Rinuncia alla passerella tra i tifosi, scompare dalle conferenze-stampa, si defila e lascia il Napoli e il calcio a chi sa di calcio concedendosi una sola sciccheria personale, la presentazione di Conte a Palazzo Reale. L’ultimo guizzo dell’ultimo Borbone, Aurelio De Laurentiis re di Napoli e, in fin dei conti, un estroverso birbante del pallone".