Le conferenze stampa show e lo scudetto
—"A Napoli, Aurelio esprime appieno questo godimento. Scopre l’eloquenza delle conferenze-stampa e le interpreta con irresistibile passione, i capelli ben tirati sul cranio, l’abito elegante, gli occhi da serpente a sonagli. Propone un modello del tutto originale nel calcio, il monologo senza contraddittorio, il trucco dell’affabilità subito soverchiato dal sussieguo del padrone indiscutibile, seguito dallo scoppio di intolleranza con fughe osé nel cinepanettone. Comincia con un sorriso cinematografico, poi da sotto la barba bianca, che comincia a fremere, tira fuori l’ira funesta, l’invettiva romanesca, la frase vendicativa e l’ingiuria definitiva. Uno spettacolo da teatro napoletano con inflessioni trasteverine. Piace agli dei che lo conducono al Bosco Verticale di Milano, un edificio grondante verdura, e qui, per depistare cronisti indiscreti, incontra in uno scantinato Luciano Spalletti. Aurelio torna a Napoli con la stella cometa toscana che gli indica la via dello scudetto. Ci sono in squadra Osimhen, Koulibaly, Insigne, Mertens, Zielinski e la nostalgia del Napoli di Sarri. Spalletti si avvicina allo scudetto, ma lo manca nel finale (terzo).
L’anno dopo via Koulibay e i poeti del sarrismo Mertens e Insigne. Spalletti si lamenta: «Mi hanno ceduto i migliori». Giuntoli porta a Napoli Kim e Kvratskhelia, sconosciuti spernacchiati dal volgo. Il Napoli vola e stravince lo scudetto. Aurelio gongola, ha dimezzato lo svantaggio su Ferlaino. Nel trionfo perde la testa e perde Spalletti. Inscena allo stadio un kolossal di luci, suoni e balli, attore unico e protagonista Aurelio De Laurentiis, la sua barba, il suo microfono. Lo scudetto è l’affermazione definitiva dell’io sono io e voi non siete un cazzo. Giunto al culmine del successo, ne evita le vertigini e ne fa una conquista personale travestendosi da onnipotente del pallone. Ma precipita dall’alto del suo cielo incappando, l’anno dopo, nel tracollo della sua irresistibile spocchia. Invitando Thiago Motta ad allenare il Napoli, alla domanda del brasiliano su chi fosse il direttore sportivo, andato via Giuntoli, gli risponde faccio tutto io, e quello scappa.
Dal baratro di un decimo posto che cancella scudetto, entusiasmo, simpatie e solidarietà di circostanza, e cancella lui stesso, Aurelio che fa tutto lui, prima di precipitare afferra Antonio Conte e si salva. Ha imparato la lezione. Rinuncia alla passerella tra i tifosi, scompare dalle conferenze-stampa, si defila e lascia il Napoli e il calcio a chi sa di calcio concedendosi una sola sciccheria personale, la presentazione di Conte a Palazzo Reale. L’ultimo guizzo dell’ultimo Borbone, Aurelio De Laurentiis re di Napoli e, in fin dei conti, un estroverso birbante del pallone".
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