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Il Napoli cerca di mantenere una facciata, ma la situazione non è facile né per Ancelotti né per De Laurentiis. Gli azzurri infatti si presentano a Udine a pezzi, senza identità e con il morale sotto i piedi. Il Corriere dello Sport ha analizzato proprio questo aspetto.
Ancelotti si gioca il Napoli e lo fa a modo suo, dopo aver stravolto il proprio aplomb lunedì, in un faccia a faccia nel quale non è volata una mosca e s’è avvertito nitido il disagio per la sconfitta con il Bologna, per la (ri)apertura ufficiale di una crisi ch’è evidente, è di natura tecnica, è tattica, è psicologica ed ha bisogno di uomini e non di Freud per essere risolta. «Noi non siamo quelli che sembriamo».
Non c’è bisogno di far tremare le pareti per arrivare al cuore di quel Napoli che Ancelotti sente ancora suo. Legittimamente suo, umanamente suo e che De Laurentiis non vorrebbe strappargli. Proprio no, perché di un gentiluomo e di quello spessore bisogna aver rispetto: «Come va...?». Una telefonata al mattino, un’altra dopo l’allenamento. Un’altra ancora in serata, per spargere normalità intorno ad una “storiaccia” dolorosa: quelle che nel calcio germogliano sorprendentemente, e che rischierebbe in tre ore, cosa volete che siano centottanta minuti, di dover intervenire e procedere, che sia Spalletti o che sia Gattuso o un mister X da individuare, per imprimere la cosiddetta scossa.
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