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Bigon: “Il mio Napoli non era solo Maradona, che ricordi a Bologna. Sullo scudetto…”

Bigon Napoli scudetto
Alberto Bigon ha rilasciato un’intervista a Il Mattino in cui ha parlato del suo Napoli che vinse lo scudetto nel 1990 e di quello di Conte che in piena corsa per il tricolore. A seguire le sue parole. Bigon: “Il mio Napoli non era...
Sara Ghezzi

Alberto Bigon ha rilasciato un'intervista a Il Mattino in cui ha parlato del suo Napoli che vinse lo scudetto nel 1990 e di quello di Conte che in piena corsa per il tricolore. A seguire le sue parole.

Bigon: "Il mio Napoli non era solo Maradona, che ricordi a Bologna. Sullo scudetto..."

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«Quel Napoli non era solo Maradona: c'era dentro l'anima di Ferrara, il sacrificio di Carnevale che portava la croce, i gol di Careca, un centrocampo dove dovevo scegliere tra Fusi, Crippa, Alemao e De Napoli».


Il Napoli torna a Bologna. Dove, in pratica, è stato conquistato il secondo scudetto.

«Ci ​​sono posti speciali per le squadre di calcio e lì viviamo una domenica straordinaria perché nel frattempo il Milan cadeva a Verona. Lo stadio era pieno di tifosi, una vera invasione. E sette giorni dopo il gol di Baroni alla Lazio ci diede lo scudetto».

Può essere un lunedì speciale?

«La frenata dell'Inter è inattesa, resta per me quella di Inzaghi la rosa più completa. Ma quando due squadre sono così vicine, la differenza la possono fare poche cose: e le trappole arrivano sui campi delle "piccole". E lo dice uno che nel 1973 ha perso uno scudetto nelle "fatal Verona" con il Milan».

Nel 1990 una monetina, dice ancora Sacchi, fece la differenza...

«Una fesseria insopportabile. Quel punto che ci diede la giustizia sportiva non ebbe peso sulla classifica. E poi, quelle erano le regole. Erano sbagliate? Infatti le cambiarono. Ma è una idiozia sentir ancora parlare della 100 lire di Alemao».

Ha visto le foto del corpo senza vita di Maradona?

«Io non riuscirò mai a capire come uno della sua grandezza, un uomo che ha fatto felici generazioni di milioni di tifosi in tutto il mondo, sia morto così da solo, totalmente abbandonato in una casa. Io ancora non lo accetto, mi fa rabbia».

Conte è stato un suo calciatore.

«Un predestinato. E per colpa sua litigai anche con il mio grande amico Giovanni Trapattoni. Io allenavo il Lecce e mi chiese che ne pensavo di Antonio, se era pronto per la Juventus. "Certo, nella testa e nei piedi", risposi ingenuamente. Mi prometto che lo avrebbe preso solo in estate ma era un inganno. A novembre già era a Torino. Ma al Trap l'ho perdonato subito».

Il tecnico del Napoli dice che è più divertente vincere da giocatore che da allenatore.

«È saggezza pura. Nel 1978, sia puro da veterano, aveva vinto lo scudetto della stella con il Milan con una squadra di ragazzini come Buriani, Novellino, Antonelli, Collovati, Baresi. I saggi eravamo io. Albertosi, Bet, Capello e ovviamente Rivera. Nulla a che vedere con le notti insonni vissute con il Napoli per discutere e confrontarmi con i leader di quella squadra super».

Dove in segnò a tutti cosa era il sacrificio.

«Il mio 10 all'inizio, senza Maradona, era Massimo Mauro. Un altro simbolo. Avevo imparato da Maestrelli, Rocco e Liedholm cosa significava mettere da parte se stessi squadra. Per il bene del Milan, Rocco una volta a San Siro contro la Juve mi fece marcare Causio. Ma lui mi diceva che ero il suo miglior attaccante. E mi mandava in attacco a prendere le botte».

Conte fa più o meno così.

«Ha vinto tantissimo, sa come pretendere il massimo dai suoi uomini. In questo è un leader straordinario: il mio Napoli sapeva essere essenziale e pratico. Non c'è nulla di più bello a vincere così».

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