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Tardelli: “Bearzot era un padre per noi. Strage dell’Heysel? Non dovevamo giocare!”
Ad ormai 40 anni dalla vittoria in finale contro la Germania che regalò all’Italia di Bearzot la vittoria del Mondiale di Spagna, nel 1982, Marco Tardelli ha rilasciato alcune dichiarazioni. L'ex calciatore ha infatti parlato ai microfoni di Libero di quella storica vittoria mondiale. Ma non si è limitato solo a quello, infatti ha anche espresso la sua opinione sulla Coppa dei Campioni vinta all'Heysel.
Di seguito le dichiarazioni di Marco Tardelli ai microfoni di Libero:
"Da allenatore non ho fatto una carriera altrettanto importante? Meglio di come mi è andata sul campo non poteva andare. Ho vinto qualcosa anche in panchina, ma io sono cresciuto in un calcio diverso, dove il mister comandava davvero; quando è arrivato il mio turno da allenatore, non era più così. Ora comandano altri".
"Mi è passata davanti tutta la vita. Eravamo arrivati in cima al mondo e avevo dimostrato che avevo ragione a insistere, anche quando i miei genitori non volevano che giocassi. Allora il sogno era il posto fisso, per mio padre. E mia madre era preoccupata che non ce la facessi perché ero troppo magro. Sperava nella mia testa più che nel fisico, mi voleva intellettuale".
"Andrebbe commemorato. Non basta dedicargli una piazza, bisogna ritagliarli qualcosa di permanente nella memoria storica del nostro sport. Era un padre per i giocatori, amava educarli e farli crescere, aveva una leadership straordinaria. Anche se era molto severo, ti chiamava, ti guardava negli occhi e ti chiedeva le cose, non potevi mentire né sgarrare. Ma poi, se entravi nel gruppo, non ti mollava mai. Lo fece anche con Paolo Rossi, prima di convocarlo in Nazionale, contro il parere di tutti, al rientro dai due anni di squalifica".
"Perché non vincevamo dall’anteguerra e perché, diciamolo senza ipocrisie, un conto è rifilare tre gol al Brasile di Zico e schiantare la Germania in finale, altro è eliminare Australia e Ucraina e prevalere ai rigori. Noi avevamo fatto fuori tutti i più forti. Il modo conta, anche se nel calcio la vittoria poi cambia tutto".
"Rimpianti come calciatore? Uno solo: non aver vinto la Coppa Campioni. All’Heysel non è stata una partita. Non dovevamo giocare, per rispetto dei morti. Quel giorno è stata la sconfitta del calcio, perciò non aveva senso incoronare vincitori".
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