Daniel Pennac, pseudonimo di Daniel Pennacchioni, ha rilasciato un'intervista a Il Corriere del Mezzogiorno, dove ha parlato di Diego Armando Maradona. Lo scrittore francese tiene anche spettacoli, come quello del Campania teatro festival dello scorso anno, diventato poi un documentario, "Daniel Pennac: ho visto Maradona!".
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Pennac su Maradona: “Lui non era un dio, ma il calcio trasformato in vita stessa”
Ecco quanto, delle sue parole, è stato evidenziato da CalcioNapoli1926.it.
Pennac racconta Maradona: "Lui non è un dio, ma uno stato d'animo"
Di seguito le dichiarazioni di Daniel Pennac a Il Corriere del Mezzogiorno:
"Maradona non è un dio ma uno stato d’animo, come Napoli. E non mi chiedete di curare i miei sentimenti. Cosa mi ha spinto a parlare di lui? L’immenso dolore dei miei amici argentini e napoletani alla sua morte. Per me la notizia è stata solo un fenomeno mediatico tra una miriade di notizie, una più tragica dell’altra. Ma per i miei amici no. Stavano piangendo per la scomparsa di un giocatore di football, come se fosse stato un loro parente stretto".
Cosa è successo allora?
"Questa reazione mi ha sorpreso così tanto in persone adulte che mi sono detto: “Se loro sono in questo stato, decine o forse centinaia di milioni di persone devono sentirsi così nel mondo. Esiste un fenomeno Maradona e voglio capirlo”. E in effetti quando sono arrivato a Napoli ho visto che molte persone si trovavano nello stesso stato emotivo dei miei amici, che a me era estraneo. Maradona era entrato in queste persone, viveva in loro. Così nasce lo spettacolo di improvvisazioni con Demi Licata e Pako Ioffredo, i due miei amici comici napoletani, la nostra regista argentina Clara Bauer e Ximo Solano".
Non ha avuto paura di accostarsi a un dio del popolo napoletano?
"Le divinità non mi spaventano. Sono gli usi che ne fanno gli esseri umani che mi terrorizzano. Però Maradona non è un dio per i napoletani come dice lei, ma uno stato d’animo profondo. Io posso accostarlo a quello che provo dalla morte di mio fratello Benard, un sentimento che ho anche trasformato in uno spettacolo. Ecco: Maradona è una sensazione".
Il simbolo della riscossa per Napoli o la sua più grande illusione?
"Una specie di fratello di passaggio che ha gettato un’ombra sulla città andando via".
Ma cosa impressionava tanto le persone?
"Sono state la sua vitalità, la sua vita, che hanno segnato i fan di Maradona. Non solo lui come giocatore, ma anche la vita che ha rivelato giocando a calcio. Era il calcio trasformato in vita stessa. Tutte le sue "coreografie" in campo lo hanno rivelato. O almeno è ciò che ho provato io stesso quando ho guardato i filmati delle sue partite. Questo ragazzo ha incarnato il calcio dandogli una coreografia unica".
Era però una maschera tragica, mentre la sua cifra stilistica è l’ironia. Come ce lo racconta?
"Tragico, vero. Ma in Diego c’è anche un aspetto lirico, dello humor e della poesia. Era una sorta di cugino di Cassius Clay, Mohammed Alì. Io ho voluto raccontare la perdita di un’intimità. L’ineffabile traccia che il passaggio di un essere vivente ha lasciato in voi".
Come Malaussène, Maradona veniva da una famiglia disfunzionale. Che altro l’accomuna al suo eroe? Non ci dica che era anche lui un capro espiatorio.
"È stato un capro espiatorio per i tifosi degli altri club, come anche per le presunte buone coscienze che lo giudicavano come un depravato. Aveva in comune con Malaussène il fatto di essere un "fratello di famiglia", allo stesso modo in cui si intende un "padre di famiglia".
Lei un qualche anno fa prese casa a Pozzuoli. Non è che viene a Napoli in incognito e abita qui da tempo?
"Non così a lungo quanto vorrei. Ho degli amici a Pozzuoli, ma ne ho anche nel resto dell’Italia. Se per caso dovessi morire un giorno, mi piacerebbe molto resuscitare italiano".
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