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Lazio, Lotito: “Sarri, vi spiego le sue dimissioni. Su Baroni…”

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Le dichiarazioni del presidente biancoceleste ai microfoni di DAZN
Bruno Stampa

Claudio Lotito, presidente della Lazio, si è concesso ai microfoni di DAZN per un'intervista ricca di temi, dalle dimissioni di Sarri all'arrivo di Baroni, passando per la separazione molto brusca verificatasi con Tudor.

Lotito: “Sarri, Luis Alberto, Immobile, Tudor e Baroni, vi dico tutto”

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Inzaghi è sempre stato molto fortunato ed è un fatto molto positivo. Napoleone diceva che è meglio avere un generale fortunato di uno bravo. Essere fortunati è un valore aggiunto. Con Bielsa mi son reso conto che quel che proponeva non si attanagliava alle mie esigenze e quelle del club; soprattutto in considerazione del fatto che bisogna essere stabili. Quando uno assume una posizione, questa va tenuta. Con Sarri avevo un buon rapporto. Lui ha le sue idee da un punto di vista politico e comportamentale. C’era però tra noi un’alchimia basata sul rispetto della persona e una stima reciproca. Lui in un’intervista disse una frase mi sorprese e mi gratificò molto. Sosteneva che fossi una delle persone più intelligenti che conosceva. Dopo è arrivato Tudor che ha assunto una posizione di comando come allenatore e ha portato cambiamenti sostanziali. Poi però alla fine del campionato mi disse che bisognava cambiare una serie di giocatori che creavano problemi. Allora ho lì deciso che bisognava fare dei cambiamenti sostanziali, sradicare chi era convinto che fosse il padrone della società, che in realtà ha un padrone solo, un proprietario solo, che deve lavorare per il bene della società. Abbiamo scelto Baroni perché è un allenatore che parla il nostro stesso linguaggio, che ha fame e che vuole dimostrare. Anche sull’allenatore tutti mi hanno attaccato, ma come dico sempre: il pallone è per tutti, il calcio è per pochi. Sarri? L’anno scorso dopo che perdemmo una gara che sembrava abbordabile in casa (Lazio – Udinese 1-2, ndr), nella sua stanza mi disse chela squadra non aveva più l’orgoglio di combattere. Proposi di mandare tutti in ritiro a Formello e lui fu d’accordo. Ci fu qualche lamentela, ma mi accorsi soprattutto che il ritiro servì solo per confessarsi tra loro e tirar fuori questa insofferenza maturata verso l’allenatore. In particolare gli uomini più titolati della rosa mi fecero capire che la persona non era più gradita, anche se la squadra non aveva il coraggio di dirlo. Sarri ha deciso quindi di andare via sul presupposto che non era più in gradi di governare lo spogliatoio. Io gli ho riconosciuto lo stipendio fino alla fine del campionato, potevo non farlo, si era dimesso. Lo feci per un fatto di rispetto. Poi andammo su Tudor. Tifosi? Il presidente di una squadra di calcio ha l’obbligo e la responsabilità di gestire i sentimenti delle persone. Valori da preservare e tramandare. Non c’è solo il profitto, ma l’onere di portare il sorriso nelle case della gente, aiutare anche i più svantaggiati. Io faccio volare l’aquila e ha un costo, ma lo faccio per regalare sorrisi ai bambini, ci sono cose che vanno fatte con il cuore. Ci sono tante persone magari soffrono da un punto di vista fisico, economico, sociale e vivono la Lazio come unico sorriso. Vedono la loro squadra del cuore e mettono da parte i problemi. Io alla squadra dico di scendere in campo per questa gente, di dare il 300% per vincere a tutti i costi. Se lo fanno, allora danno emozione a quelle persone, che vivono per loro. I calciatori esistono perché esistono i tifosi, altrimenti non sarebbero nessuno. Rapporto con i calciatori? Sono stato un padre di famiglia per Immobile. Lo presi dopo un suo periodo non performante all’estero, è venuto qui e lo abbiamo trattato come fosse un figlio. Poi lui ha fatto il suo. In campo ci andava in lui e con i numeri e i fatti ha dimostrato di essere una persona che aveva delle qualità, parlano i suoi gol e le sue prestazioni. Questa estate ha deciso di andare via; ma è stata una sua scelta e io l’ho accontentato. Luis Alberto invece è una persona molto particolare. Ha un umore altalenante e non riesce a vivere in un contesto dove ci sono interessi comuni. Lui vuole stare al centro di sé stesso. Ma questo non è pensabile in un contesto di squadra. Non può essere che i doveri sono degli altri e i diritti di uno solo. Un esempio di grande campione è stato Klose. Ricorderò sempre una cosa di lui, che mi è rimasta impressa nella mente. Arrivò a Roma nel giorno del suo compleanno e andammo a mangiare al ristorante, con lui e la moglie. Gli feci trovare una torta con una candelina e abbiamo festeggiato e a una certa ora mi disse che doveva andare a riposare, perché il giorno dopo si sarebbe dovuto allenare. A livello di professionalità era il top. Per me i giocatori si dividono in normali, buoni, ottimi e campioni. I campioni si vedono da questi atteggiamenti".