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Coli Saco: “Vengo da un quartiere difficile, o diventavo calciatore o spacciatore”

coli saco
Il centrocampista di proprietà del Napoli ha rilasciato una lunga intervista in cui si è raccontato dalle difficoltà dell'infanzia in un luogo difficile all'arrivo in Italia
Sara Ghezzi

Coli Saco è un centrocampista di proprietà del Napoli che è stato ceduto in prestito all'Ancona per trovare più spazio. Il giovane ventunenne ha trovato la sua prima rete lo scorso weekend e ha rilasciato un'intervista a La Casa di Cin cui racconta la sua storia. A seguire le sue parole.

Coli Saco: "Vengo da un quartiere difficile, o diventavo calciatore o spacciatore"

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Sulla sua infanzia: "Ti dico la verità: dove sono cresciuto io è un quartiere molto difficile. Ho scelto sempre il 94 non perché l’avesse qualche giocatore in particolare ma perché è il numero del mio dipartimento. L’ho fatto perché voglio portarlo con me. Dove sono cresciuto io tutti giocano in strada. Ho iniziato così: per noi è naturale. Nella nostra situazione hai 3 scelte: o fai il rapper, o diventi calciatore o inizi a spacciare. Io ho scelto subito il calcio. Giocare a calcio ci faceva dimenticare dei problemi a casa. Avevo fatto tanti provini con squadre francesi, la mia ultima è stata con il Le Havre. Sono andato a fare il provino ed è andato molto bene. C’era solo un problema: a scuola non avevo un buon rendimento e questo poteva influire sulla scelta del Le Havre. Alla fine il direttore della scuola ha messo una buona parola su di me e mi ha fatto un favore. Per arrivare agli allenamenti dovevo prendere prima un pullman di un’ora da casa mia e poi un altro treno. Le sessioni di allenamento erano tutti i giorni e non finivano prima delle 19:30. Quindi tornavo sempre a casa a mezzanotte, minimo, e sempre con pullman e treno. Spesso, quando aprivo il frigo al rientro a casa, non trovavo nulla. E’ stato molto difficile. Tutto. Ma questa è la vita di un quartiere e sei abituato fin da piccolo a stare così".


Su Pogba: "Quando mi hanno detto sì, ho pensato subito a Pogba. Sono cresciuto guardandolo giocare alla Juve: è stato un esempio per me, perché anche lui ha giocato tanti anni nel suo quartiere. Poi a 15 anni è stato chiamato da una squadra di Parigi più prestigiosa. E dopo ancora, come me, è andato al Le Havre. Era un percorso simile al mio e questo mi faceva emozionare".

Sulla Nazionale: "Mi hanno chiamato a 17 anni. Mi sono preso del tempo, ma non perché non fossi sicuro di giocare per il Mali. Solo che non pensavo fosse ancora il momento adatto. Lei viene da lì e mi ha sempre detto che voleva vedere giocare anche me per il Mali. Ha sempre spinto molto. Quando iniziava la Coppa d’Africa, in Francia ci riunivamo tutti nei bar o kebab della città. Dai più piccoli, come me, ai più grandi del ghetto. Io ho sempre tifato per il Mali con altri miei amici. Quando mi hanno chiamato mi sono tornati in mente tutti questi ricordi. Per me è stato emozionante. Non saprei dire se la Francia avrebbe puntato su di me. Ma sono sincero, ho sempre voluto il Mali perché per me è meglio andare in nazionale col cuore piuttosto che solo per il nome. Io sono così. Vengono a vederla dappertutto ma soprattutto da Germania e Inghilterra. Infatti, io ad esempio avevo più visibilità da squadre come il Lipsia”.

 Sull'arrivo in Italia: “Mi dice che ci sono quattro squadre italiane su di me. E sono Milan, Juventus, Atalanta e Roma. E aggiunge: ‘Adesso scegli tu. Conoscevo poco il calcio italiano e seguivo solo Pogba nella Juve. Non volevo andare lì perché avevo paura di non giocare. Pensavo già al futuro, mi vedevo già in prima squadra. Del Milan invece sapevo che era un grande club e che non era nel suo momento migliore, infatti giocavano spesso in Europa League. Con loro c’era Bakayoko, l’ho anche conosciuto. La verità? Non mi sembrava così più forte di me. Avevo tanti problemi con il Sochaux. All’inizio avrei dovuto firmare tre anni di contratto con il Milan, ma la società francese mi bloccava".

 Sul Milan: “Pierre era arrivato da poco ma era francese come me. Ci siamo capiti subito. Per me è come un fratello: ancora oggi lo sento. Siccome conoscevo lui, Leao e Kessie, molte volte mi facevano uscire anche con gli altri della prima squadra. Ho bei ricordi. Il livello era molto alto. Ma vedere giocare Bennacer da vicino mi ha stupito: ho capito ancora meglio quanto fosse forte".

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