Sugli aneddoti da calciatore e allenatore
—"Ho marcato Pelé. Il Napoli era in tournée in Usa, avevano dei dubbi se tenermi o no dopo un altro infortunio al ginocchio. E mi dissero: tu marchi O Rey. Bel modo per aiutarmi, pensai. Ma fu un duello fantastico, aveva uno stacco fenomenale e giocava di destro e sinistro. Mi tennero pure l’anno dopo.Amici nel calcio? Pochi, forse nessuno. Francesco Lamberti, per tutti Cecco, vice allenatore del Brescia di Renato Gei, mi diede un nomignolo: Ottavio Bottecchia dipendente. Bottecchia fu il primo ciclista italiano a vincere il Tour de France, nel 1924, e Lamberti diceva che io avevo lo sguardo sfuggente e solitario del grande campione. In fondo aveva ragione: facevo uno sport di squadra, ma non ho mai avuto rapporti stretti con altri compagni.Da allenatore c’è una squadra a cui sono più affezionato?Io credo di aver “bucato” solo quando sono stato all’Inter. Ma poi, per il resto, ad Avellino, Como, Napoli, Roma credo di aver dato sempre il massimo e lasciato uno stupendo ricordo.Io ct della Nazionale? No, e comunque non me lo hanno mai proposto. Anche perché non piacevo a nessuno nel giro della Nazionale italiana, e per fare quel ruolo dovevi essere in grado di saper strizzare l’occhio a una fetta di opinione pubblica. E io ero allergico a queste cose. E poi quello è un altro mestiere: il selezionatore è diverso dall’allenatore.La squadra più bella che ho visto giocare?La mia generazione rimase a occhi aperti a vedere il primo Ajax di Cruijff dare spettacolo con quei giocatori universali, capaci di fare tutti i ruoli. E pure io ne rimasi stregato, perché avevano qualità e forza fisica".
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