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editoriali
(Getty Images)
Anche il derby è sudore passato: Luciano Spalletti ha 31 punti ed è primo in classifica, dopo aver vinto a Salerno - tra i cori contro Napoli, i fischi e la tensione insensata dei giorni precedenti - pure senza Osimhen e con Insigne in panca per 90'. Una squadra che ormai non sappiamo più come commentare: trova costantemente modi per spostare l'attenzione su aspetti inesplorati. La stagione è di quelle importanti.
Chi ne sa di giornalismo direbbe che questa vittoria è da grande squadra, agguantata con la ferocia dei campioni. Gli azzurri hanno provato ad adattarsi alle diverse fasi di un match tiratissimo: nel primo tempo molto oscurato Mertens, schierato da centravanti per ovviare al lieve infortunio di Osimhen (tornerà domenica, ndr): il belga non è ancora a suo agio con la titolarità e con le gare che contano: poche le giocate da parte sua, ma tanta la qualità nel palleggio del Napoli, che in più di un'occasione ha fatto scuola di uscite nello stretto. Il problema è incorso proprio nella finalizzazione, lì dove nemmeno Politano e Lozano sono riusciti a graffiare particolarmente, spesso raddoppiati e poco lucidi nell'uno-contro-uno. Di fronte, tra l'altro, abbiamo visto una grande Salernitana, sorprendentemente in grado di tenere un'applicazione costante dal primo all'ultimo secondo, un'intensità che corrispondeva al calore (eccessivo) dei tifosi e alle ansie (insensate) del pre-gara.
Ad inizio secondo tempo addirittura la squadra di Colantuono sembrava aver l'inerzia dalla sua parte, fino a che il tecnico del Napoli non ha contattato il genio della lampada. L'intuizione è stata ben precisa: necessità di riempire l'area con consistenza e di giocare palla con più qualità sugli esterni. Dentro Elmas e Petagna, con Zielinski ancora più accentrato, liberato da compiti difensivi e autorizzato a giocare viso-alla-porta. Passano pochi secondi ed ecco subito uno scambio rapido tra questi protagonisti, a dimostrazione ennesima di un gruppo che non è pronto e coeso, di più. Questi ragazzi hanno finalmente capito che vivere uno spogliatoio di calcio significa fare la propria parte con rispetto delle parti altrui, aspettando il proprio turno con rigore e lucidità. E quando arriva il momento - perché arriva, sempre - l'importanza di un rincalzo diventa pari a quella di un titolare, che sia un attaccante, una mezzala o un terzino difensivo. Saper aspettare significa essere intelligenti, e solo così può essere definito ad esempio un calciatore come Elmas, da sempre ritenuto riserva di Zielinski e ieri schierato invece alto a sinistra, col polacco rimasto in campo al suo fianco. Crederci per poi competere e dare continuità alla propria fiducia, con entusiasmo e passione: è questo che fa chi sa lavorare in un collettivo sano.
Prima di questa domenica avevamo visto un Petagna risolvere la gara di Genova (per poi restare), un Mertens schiantare il Torino con un uno-due sulla trequarti creato dal nulla, un Anguissa dominante in più di una circostanza, un Rrahmani goleador da schema inattivo, un Fabian colpitore da biliardo da una mattonella edificata per lui. Sono giochi di luce e di ombre di una squadra che alterna le sue armi come se le dosasse, come se vedesse già lontano. Così Zielinski, vagabondo tra le linee dell'Olimpico e fantasma di sé stesso contro il Bologna, ieri pomeriggio all'Arechi è stato decisivo in una gara che vale più di tre punti. Il trequartista si è coordinato in un fazzoletto di terreno, dopo mille rimpalli e una traversa e ha trafitto Belec di sinistro al minuto 61. Questa la grandezza di un Napoli che condivide le energie e i superpoteri, canalizzando le forze sull'uomo del momento, facendo la scelta giusta, il passaggio giusto contro l'avversario corretto. Così Spalletti decide di non togliere Zielinski per Elmas e Pietro lo ripaga, con una vittoria che permette di sforare già i 30 punti dopo 11 partite. Risultato storico che ricorda i fasti di Sarri, quando era ancora una riserva e poteva permettersi di non brillare.
In questo Napoli tutti splendono a rotazione, ed è questo che fa nel lungo periodo una squadra vincente - specie considerando individualità come quelle che ha tra le mani Spalletti -. È stato il momento di Osimhen, così come di Fabian e di Anguissa. Ieri è toccato a Zielinski, col Bologna agli undici (x2) metri di Insigne. All'appello mancano l'entusiasmo di Lozano, i gol di Politano, i tiri a giro, le giocate dello stesso Mertens, qualche gol di Elmas e Demme. In un alternarsi di valori che somiglia ad una costellazione, ad un collegamento del destino verso un futuro un po' più consapevole. Una strada tracciata dopo tanta nebbia. Una stella alla volta.
A cura di Mattia Fele
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