Per Spalletti poco di guadagnato, se non (per ora) il prestigio di allenare la Nazionale a cui tanto aspirava il mister di Certaldo. Ed è giusto che sia lì essendo il miglior allenatore in circolazione, eletto come vero top player di questa selezione. Lui sì che potrebbe allenare Manchester City, Bayern o Real Madrid. Ed è pur vero - per togliere ogni dubbio lo diciamo - che in 5 giorni neanche Harry Potter avrebbe potuto trasformare Zaccagni e Zaniolo in Bernardo Silva e Leao. Ciò che si spera di vedere da questa Nazionale sarà un'identità (ancora) più forte, che dopo l'Europeo si era un po' sbiadita ma che proprio in quell'occasione sembrava essere stata rivoluzionata dal predecessore. Chi si aspettava di vedere dopo una settimana il Napoli di Spalletti o in generale lo attende a breve, forse avrà lo stesso destino di chi chiede a Sarri di esprimere ancora oggi lo stesso calcio del triennio sotto al Vesuvio 2015-18. L'irriproducibilità è una cosa bella. Anche un po' da perseguire. È il valore dell'unico. E per Spalletti uno come Osimhen era molto importante, pur essendo bravissimo. Questione di averceli giocatori così: Osi o non osi.
Questa Nazionale ha bisogno come l'aria di ritrovare - come ha detto il mister - un po' di senso di appartenenza, sentire l'importanza del vestito blu che si indossa ma ha pure necessità di ritrovarsi tecnicamente. Di sentirsi forte in un copione collettivo ben rodato. Di conoscersi a memoria. Non bastano "i blocchi" dei club: le intese di Zaccagni-Immobile o Di Lorenzo-Politano, come se fosse una squadra su Fifa Ultimate Team. Questo per dire che le problematiche del calcio italiano e della Nazionale sono politiche, infrastrutturali, riguardano i settori giovanili (e il senso di civiltà) e insomma ineriscono al campo di ciò che è sul fondo. Non si poteva pensare di vincere 4-0 e di esibirsi già pronti-via. L'Italia di Spalletti difficilmente otterrà di più del quinquennio manciniano, ciò nonostante sarà per Spalletti un piacere allenarla e per chi scrive un onore stare a guardare le gesta di un uomo che ha mostrato - seppur venendo meno al suo accordo col Napoli - che di certo non ha lasciato la squadra che ha vinto lo Scudetto per mancanza di coraggio. Perché questa storia qui, senza Lobotka, Osimhen, Kvaratskhelia e via dicendo sarà molto più dura.
Di Mattia Fele
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