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editoriali
Victor Osimhen (Photo by Paolo Bruno/Getty Images)
Passi il solito rigore negato al Napoli (a quello purtroppo siamo abituati), ma diteci cosa si deve fare per mettere la parola fine al razzismo negli stadi. Nemmeno i venti di guerra rendono più umane certe bestie.
Ieri sera i buu razzisti destinati a Victor Osimhen erano perfettamente udibili. Sarebbe bello dire che certe performance mettono in imbarazzo le istituzioni del calcio italiano, ma è la verità? Difficile dirlo visti i risultati. Ed è ancora più inconcepibile che il direttore di gara abbia deliberatamente ignorato un qualcosa che offende tutto il genere umano, non solo il centravanti nigeriano del Napoli. In un clima così teso a livello internazionale possiamo davvero permetterci di essere ancora miopi di fronte all'orrore? Non ci nascondiamo, parliamo di quello stesso sentimento che se interpretato su larga scala, scatena conflitti ben maggiori.
L'odio e l'intolleranza, anche nel "piccolo" (cioè in quello che colpevolmente ci può sembrare trascurabile), portano in se il seme della guerra. Girarsi dall'altra parte significa ignorare i tempi che stiamo vivendo. Le istituzioni del calcio meditino sul mondo che sta cambiando. Cosa vuol dire oggi, con tutto quello che sta succedendo, sopportare l'odio? Beninteso, il discorso va copiato e incollato anche per i consueti cori di discriminazione territoriale rivolti al popolo napoletano. Lungi da noi il messaggio che si può essere razzisti anche sulle diverse forme di discriminazioni. Fanno tutte ugualmente schifo.
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