A cura di Bruno Stampa
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editoriali
"Oh mamma mamma mamma, Oh mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona, Ho visto Maradona, eh, mamma’, innamorato son". Eppure esiste una platea di ragazzi e adulti - non solo giovani - che, pur non avendolo mai potuto ammirare in purezza dal vivo, ricorda esattamente dov'era e cosa stava facendo il pomeriggio di quel maledetto 25 novembre di quattro anni fa, quando il quotidiano argentino El Clarìn e, successivamente, le agenzie stampa di tutto il mondo battevano la notizia della morte del Pibe de Oro. Si parla di un mito tramandato da chi ha avuto l'onore di godere delle sue giocate e che sarà raccontato anche a chi vedrà l'epopea di D10S come qualcosa di clamorosamente lontano nel tempo.
Y e Z: due lettere non casuali. Sono le lettere che contraddistinguono, in parte la prima, totalmente la seconda, le generazioni che non possono avere ricordi vissuti direttamente però se ne sono ugualmente innamorate. Quasi come se lo avessero incontrato davvero. La sua figura, così imponente e leggendaria, è stata documentata attraverso le voci dei nonni e le immagini che continuano a circolare ovunque, rendendo la sua presenza eterna e indelebile. Non si parla solo di calcio, ma di una storia di riscatto in cui Diego era il simbolo di una Napoli che si ribellava ai potenti, una città che si sentiva finalmente protagonista attraverso le sue prodezze. Se ne potrebbero elencare tante, di storie: dal suo arrivo in un San Paolo che lo abbracciava con il calore e l'incredulità di oltre 80mila persone alle lacrime per il primo scudetto, passando per il celeberrimo gol contro ogni legge della fisica segnato ai danni della Juventus. Tutte storie ampiamente conosciute, arricchite dalla passione di chi è potuto essere testimone delle epiche vicissitudini del Diez più grande del calcio mondiale. A tutto questo si aggiungono le immagini. I video, le registrazioni, le partite che, anche a distanza di decenni, generano la pelle d'oca. Questo è stato reso possibile da social come Youtube, che hanno fissato nella memoria collettiva tutte le sue più ammalianti magie. Ogni gesto tecnico è un’opera d’arte: il controllo perfetto, il dribbling che rendeva impotenti gli avversari, il sinistro che sembrava muoversi a comando. Chi racconta ha imparato ad ammirarlo attraverso lo schermo, a studiare ogni suo movimento, quasi a voler capire cosa lo rendesse tanto unico. Perché la forza di Diego Armando Maradona è quella di attraversare, nella sua perfezione calcistica e nelle sue imperfezioni fuori dal terreno di gioco che lo hanno reso ancora più vicino alla gente, qualsiasi generazione. Maradona era l’uomo che cadeva e si rialzava, che si caricava sulle spalle il peso di un’intera nazione durante il Mondiale del 1986. Era l'uomo che si divertiva come un bambino nel celebre riscaldamento prima della finale di Coppa Uefa contro lo Stoccarda. Era un uomo che parlava agli ultimi, agli emarginati, a chi cercava riscatto, e lo faceva non con le parole, ma con il pallone. Una leggenda che vivrà universalmente, negli occhi di chi l’ha visto dal vivo e nelle emozioni di chi l’ha scoperto solo dopo. Non è possibile dire di non aver visto Maradona. Ogni gesto, ogni ricordo tramandato, ogni immagine lo ha reso vivo, vicino. Perché si parla di, pur non volendo scendere nella scivolosa dialettica tra sacro e profano, un Dio sceso in terra che, con la sua classe e le sue tante sfaccettature, ha segnato la storia non solo di due popoli calcistici su tutti, quello partenopeo e quello argentino, ma i cuori di tanti milioni di persone.
A cura di Bruno Stampa
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