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editoriali

L’anno zero dopo Spalletti: così Napoli è diventata una piazza per allenatori vincenti

Dopo il gol di Faraoni, pochi avevano il coraggio di accomodarsi sulla panchina azzurra. Anche oggi, ma il motivo è differente. Partenope chiama mentalità vincente

Sole, tanto. Tra un caffè ed un cornetto, Napoli apre gli occhi con l'annuncio di Luciano Spalletti come nuovo allenatore dei partenopei. Il brusio degli anziani fuori al solito bar che citavano l'argomento Totti ed Icardi, dimenticando della bravura del tecnico di Certaldo. Ma soprattutto lo sguardo rivolto verso il sacrificio, il lavoro. Quasi come se facessero da ponte tra sogno e realtà: che se poi si vuole aggiungere anche la parola 'idea' diventa un ponte lunghissimo costruito con il passare delle primavere. Ma Spallettone è questo. Questo e tanto altro. Innamorato di Napoli dal giorno zero, aveva un solo obiettivo: entrare nella storia della città azzurra. Ed il proprietario della Rimessa, sua tenuta in campagna, lo ha fatto senza chiedere permesso, neanche bussando alla porta. È entrato, ha sperimentato il primo anno, vinto il secondo e poi andato via. Da vincente innamorato di quell'aria che funge da cuscino al Vesuvio. Non ebbe neanche un briciolo di paura quando gli si presentò la possibilità di allenare la squadra di Partenope: "Dove? Napoli? Vengo subito". 

Eppure il Napoli (e Napoli) non facevano altro che pensare al gol di Faraoni, alle urla di Gattuso e ad un'altra stagione trascorsa nell'anonimato. Bastarono pochi allenamenti al buon Luciano, qualche frase ad effetto in conferenza stampa, per far capire che la strada sarebbe stata in discesa. Partenope così decise fin da subito di affidarsi alla sua magia. Senza mai perdere la strada tracciata dall'ex Inter. Arriva un terzo posto con infiniti rimpianti: Spalletti avrebbe potuto vincere già alla prima esperienza sulla panchina del club azzurro. Lo farà un anno dopo entrando nel cuore, nei racconti, nei striscioni...di tutti. Lo farà testimoniando che con il bel gioco si può vincere, e chi viene considerato 'perdente' è solo perché la fortuna non gli ha mai guardato le spalle. Spalletti ed il suo Napoli disputano un campionato a parte: gioca il Napoli. E poi un altro: la Serie A. Dove Milan, Inter e Juventus lottano per andare in Champions, dimenticando la bravura di un altro architetto: Maurizio Sarri. Kvaratskhelia a sinistra, Osimhen al centro, Lobotka a comandare e Kim a dominare. Per non dimenticare Di Lorenzo ed Anguissa, Mario Rui e Meret. Spalletti ha vinto perché è un grande allenatore: dimostrandolo giorno dopo giorno, partita dopo partita. 

Spalletti e quell'addio (troppo presto) alla sua Napoli

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Quello che spaventa Partenope (e non solo) rappresenta il dopo. Perché il tecnico italiano prima vince scrivendo una delle pagine più belle della storia napoletana (intesa squadra e città), poi decide di svuotare stanza ed armadietto a Castel Volturno perché "a volte per amore si lascia". Via le maglie di Diego, quel tricolore sul letto e tutti gli schemi ideati per tornare a dominare: Spalletti lascia un'eredità enorme. Pesante. Un'eredità solo per i grandi, i più grandi. Lo sa perfettamente De Laurentiis, che lavora da settimane cercando di regalare a Napoli un tecnico degno di nota. Un coach capace di continuare quanto ideato da Luciano, aggiungendo qualcosa di suo. Senza strafare, ma con un solo obiettivo: vincere. Galtier, Paulo Sousa, Rudi Garcia. Sono questi i nomi più caldi, eppure il punto di vista del tridente appena annunciato non è uguale. C'è chi vede la piazza azzurra come un punto d'arrivo per dimostrare la propria forza: trionfare ancora rappresenterebbe un qualcosa di unico, lo sarebbe ovunque, figuriamoci in una città in cui non si vinceva da trentatrè anni. Ma c'è anche chi la vede come un qualcosa di troppo grande per le proprie capacità. A Napoli, dopo Spalletti e dopo lo Scudetto? "Je so pazzo" cantava il grande Pino Daniele, e forse solo un pazzo - che non si tratti di un vincente di nascita - potrebbe accettare una sfida del genere. L'idea di un vincente non è da sottovalutare, o di un tecnico giovane capace di dimostrare le proprie qualità facendo il salto più grande della gamba. Che sia un ipotetico Zidane o un Thiago Motta. 

Eppure, nonostante l'addio di Spalletti, nella città in cui tutto ruota attorno al calcio si respira un'aria fantastica. Da vincenti. Kvaratskhelia, sulla lista di Real Madrid e Liverpool, sottolinea di amare Napoli. Di voler restare. Fa lo stesso (quasi) anche Osimhen, che ai microfoni di Dazn annuncia: "Resto? Decide il presidente. Amo la gente di Napoli, mi hanno sempre mostrato il loro grande amore. Deciderà il presidente, non ci penso. Io seguirò il flow". È la dura legge di quel viaggio chiamato 'ciclo' che tutto d'un tratto ti accompagna nell'elite del calcio con non-chalance quando ricordi di essere testa di serie in Champions.Partenope è fantastica, ma quando comprende di essere un gradino sopra tutti diventa 'a fine do munno. Ti entra nel cuore. Chiedere informazioni al gioiello georgiano, che proprio non vuole saperne di sostituire il caffè di Tommaso Starace al thè inglese o alla sangria spagnola. O ad Osimhen, che questa gente la porta e la porterà sempre nel cuore.


Allora sì, ci vuole coraggio. Ora più che mai, accomodarsi sulla panchina del Napoli significherebbe sapere di non dormire tanto, di dedicare vita, morte e miracoli alla causa azzurra. Il sacrificio è tanto, ma la ricompensa sarà maggiore. Chiedere informazioni a Luciano Spalletti, che - forse forse - di notte pensa ancora a quella scelta di dover salutare. Che sia il portoghese della Salernitana, l'ex Psg o l'ex Roma, che sia un colpo a sorpresa di De Laurentiis o una vecchia conoscenza del calcio italiano, qualcuno ricordi ai figli di Diego che sono tornati grandi. Lo faccia senza alzare la voce: potrebbero svegliarsi. Così dannatamente bella prima, desiderata dai vincenti ora, un pò meno dagli emergenti. Calciatori, dirigenti ed allenatori. È stato dedicato tanto a Spalletti, ma in futuro Napoli capirà di dovergli ancora qualcosina. - un pò come fatto con Benitez. Sarebbe interessante capire le idee del patron azzurro: sempre lucido e preciso nelle scelte. E con il numero zero nella voce vicino alla parola 'errori'. Il tutto è nelle mani di Aurelio De Laurentiis. Ma una cosa è certa: il Napoli è uscito a riveder le stelle. A danzare tra Marte e Giove. Partenope è tornata dove merita.

A cura di Gennaro Del Vecchio

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