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editoriali
Tutto il Nord aspetta una nostra caduta per sbranarci: chi non tifa si castra da solo
Non giriamoci intorno, anche se può sembrare paradossale, il grande tema della serata di ieri non è tanto il clamoroso 0-4 rimediato in casa (che resta inconcepibile), ma il clima surreale che si respirava al Maradona. Se in Argentina la curva viene chiamata "la 12" - provate a chiedere ai tifosi del Boca, che quanto a passione sportiva possono dare lezioni - un motivo ci sarà. La 12 è il cuore pulsante dello stadio e se viene a mancare chi pompa il sangue nelle vene, allora anche il proprio tempio può diventare ostile e dinamitardo quanto il fronte nemico. Quello che è successo ieri al Maradona è davvero sconcertante: avete mai visto una tifoseria pensare prima ai propri interessi e poi alla squadra per la quale si fa il tifo? Il silenzio assordante delle curve ha rovinato l'atmosfera di festa che si respira in città. Beninteso, qui nessuno contesta le ragioni, più o meno condivisibili, degli ultras. Anche in altre circostanze, chi vi scrive ha sempre ribadito che i gruppi organizzati hanno il sacrosanto diritto di tifare così come si tifa in qualsiasi altra città d'Italia o d'Europa. Poi è chiaro che i ragionamenti sono tanti ed è difficile poter esprimere un parere oggettivo senza conoscere a fondo il quadro generale, correndo il rischio di fare sensazionalismo spicciolo.
Per esempio l'assessore Ferrante, interpellata sul tema, ha recentemente detto che "in questo momento pensare di dover restringere la possibilità di festeggiare non fa piacere, ma dietro queste decisioni ci sono ragionamenti fondati". Non abbiamo motivo di contestare le parole di chi rappresenta le istituzioni cittadine. Fatta questa debita premessa partiamo da un altro presupposto: viviamo nell'epoca dell'information and communication technologies e oggi ogni tifoso può potenzialmente avere il seguito di un giornalista famoso. Basta aprire un profilo sui social (e farlo crescere), chiedere ospitalità ai siti tematici, contattare radio e TV nelle svariate trasmissioni di filo diretto. Rispetto a 20 anni fa i tifosi hanno tutte le possibilità di far sentire la propria voce, in tutte le sedi opportune. Prima c'era solo il famigerato bar dello sport dove la polemica avvinazzata nasceva e moriva lì. Ecco perché la verità è una e incontrovertibile: chi dice di essere tifoso del Napoli, almeno durante i 90 minuti, deve pensare a tifare e basta!Se vai allo stadio e non tifi per la tua squadra del cuore sei un po' come il cornuto che si castra per fare un dispetto alla moglie infedele (consentiteci una piccola nota umoristica). Non ci sono altre certezze, parliamo di questioni apodittiche. Il tifoso deve tifare, e se non tifa si trasforma automaticamente in nemico. Lo spettro del silenzio è linfa vitale per l'autostima dell'avversario. Napoli è antropologicamente autolesionista, e allora - ci chiediamo - qual è il senso di corroborare questa atavica verità? Ieri sera ci sono stati anche episodi di violenza in curva. Così come evidenziato da alcuni contributi video che non lasciano spazio a troppe interpretazioni, abbiamo visto che chi non ha avallato la protesta di alcuni gruppi organizzati ha subito forti ripercussioni. Fino a prova contraria siamo in un paese democratico e se gli ultras chiedono (giustamente) di esporre bandiere e striscioni, devono anche rispettare chi viene allo stadio a sostenere il Napoli. Va da sè che lo sciopero del tifo non può giustificare una prestazione inesistente. Il Napoli, di fatto, non è mai sceso in campo ed è questa la sola evidenza di questa partita. Avrebbe perso anche con un tifo indiavolato.
Cari amici, le battaglie si fanno fuori dal Maradona, la partita è sacra. Se non ve ne siete accorti siamo soli. Il dominio dei ragazzi di Spalletti non deve farci dimenticare anni e anni di soprusi e delusioni cocenti. Il Napoli non ha alle spalle i grandi potentati editoriali (a differenza delle tre strisciate), non ha peso politico. Stanno aspettando solo un nostro passo falso per sbranarci e non possiamo dare questa soddisfazione a chi gode delle nostre cadute. Anche la città deve un attimo ricalibrare il proprio entusiasmo. Basta tormentoni su Osimhen, festoni pacchiani e polemiche su come si dovrà festeggiare. Festeggeremo quando sarà tempo di farlo. I ragazzi ora hanno bisogno di noi e tutti dobbiamo rispondere presente.
A cura di Giovanni Ibello
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