Il Napoli comunica molto meglio coi piedi dei suoi calciatori che oralmente coi propri tesserati e ce lo ha mostrato ieri contro l'Inter. La squadra ha deciso di vincere e ha vinto, dominando in lungo e in largo contro la finalista della prossima Champions League. Inzaghi aveva optato per un massiccio turnover in vista della finale di Coppa Italia contro la Fiorentina, Spalletti ha tenuto fede alle sue parole e ha schierato i titolari. Come avevamo già detto più volte, è con quegli undici che il Napoli ha costruito il suo Scudetto. Undici giocatori - messi insieme chiaramente dalla società che ha fatto un lavoro ottimo - che ormai vanno avanti da soli, sanno che direzione prendere. Su questo, Spalletti ha ragione. Strepitoso il gol di Di Lorenzo, magistrale la prova di Kim e di Kvaratskhelia. Osimhen un po' in penombra, sembrava quello istintivo dei primi tempi a Napoli.
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«Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza» ma dell’oggi sì: il Napoli è fortissimo
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—Mentre c'è bisogno che nessuno sposti l'attenzione dal rettangolo verde dove il Napoli fa spettacolo da quasi un anno, fuori dallo Stadio e nei meandri dei cervellotici tavoli degli addetti alla comunicazione accadono cose funeste. Che un po' sbigottiscono. Spalletti e De Laurentiis giocano a tennis e con un batti-e-ribatti più che irritante non fanno assolutamente il bene di questo storico Scudetto. In realtà fanno capire anche ben poco ai media, che già di per loro non sembrano poi così sul pezzo (forse ADL vuole mettere alla prova le loro conoscenze? Se è così, ha vinto: non sanno niente ndr). Spalletti ha smentito praticamente tutte le notizie che erano state date per certe dai quotidiani più importanti in Italia. Nessun'altra squadra lo cerca; non ha rifiutato un rinnovo; non dovrà pagare nessuna penale. Forse, però, darà le sue dimissioni e lo farà unicamente perché ha scelto di fermarsi dopo tutto quello che ha dato a Napoli e al Napoli. Di ritornare sulle sue sudate carte e rimettersi a guardare calcio disimpegnato, a studiare e ritrovare il rapporto con le radici e la terra. Niente di più umano, come d'altronde Spalletti ci ha dimostrato dal primo all'ultimo giorno. Non è un istintivo ma è un sanguigno, un uomo di rapporto che ha bisogno di certezze e qualche volta di rassicurazioni. È stato l'allenatore più decisivo della storia del Napoli. Ci sarà comunque poco da fare se non mostrargli immensa gratitudine.
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Restano e resteranno chiaramente dubbi sul futuro progettuale e quindi tecnico di questa squadra, ma sono dubbi così periodici che poi a pensarci la certezza del dubbio è il suo stesso annullamento. De Laurentiis di certo saprà come creare un fil-rouge tra questo Napoli e il prossimo, o almeno ci proverà e pure se non ci riuscisse ci sarebbe poco da dire. Se non che questo è calcio. Uno sport, una passione ma anche un mestiere e un luogo di lavoro dove nascono diatribe tra dipendenti o nelle dinamiche gerarchiche. Quante volte ci siamo trovati a dubitare della stima che proviamo per un dirigente, un superiore. Eppure siamo andati avanti lo stesso per amore del lavoro, dei contenuti e non della forma. Quando si è fatta difficile - e solo allora - abbiamo deciso di fare un passo indietro che però è un passo avanti. Col sorriso o sfiniti. Qualunque fosse la motivazione. Così forse farà Spalletti, impegnato nel rendere questo Napoli abbastanza autonomo da non aver più bisogno neanche più della sua voce. Consapevole a tal punto da comprendere che forse l'anno prossimo la squadra lo avrebbe seguito in modo differente e che diversi giocatori si sarebbero poi potuti disperdere via mercato (ma questo può dircelo solo il futuro che non conosciamo). I giornali - ma non credetegli, un giorno parleremo anche dell'ipocrisia delle rassegne stampa - parlano solo di Kim ma il più appetito e appetibile è chiaramente Victor Osimhen: forse l'unico dei fuoriclasse che potrebbe seriamente cambiare aria. La questione Giuntoli invece potrebbe risolversi in maniera opposta, poiché De Laurentiis parrebbe non voler perdere entrambe le pedine-Scudetto e perché (soprattutto) non gradisce che possa andare alla Juventus.
Quanto alla partita giocata, è molto semplice: il Napoli è superiore all'Inter nella sua amalgama e nel suo gioco. Se decide di far girare il pallone con quella qualità, con un centrocampo dinamico e con i terzini che ruotano, con le posizioni interscambiabili e con Khvicha Kvaratskhelia dalla Georgia che scatena il panico e attrae 2-3 marcatori, ecco che c'è poco da fare pure per la rosa più forte del campionato. Checché Inzaghi ne dica. Gagliardini è stato espulso perché il palleggio roteante del Napoli faceva sì che gli altri arrivassero sempre in ritardo e dovessero commettere fallo. Gagliardini poi non è esattamente uno di quei calciatori che vanno di fioretto sul pallone. Al di là di tutto è stata anche un'Inter a cui stranamente pareva andasse bene il pareggio, che ha giocato da provincialotta a partire dal suo portiere Onana, che ha giocato nell'Ajax del calcio totale ma subito ha capito che in Italia ci si butta pancia a terra e si perde tempo per puro sfizio, pure se ti chiami Inter. Spalletti ha azzittito ancora una volta il mondo comunicativo - questo è quello che più mancherà del mister di Certaldo: la sua cultura della parola che è unica nella SSCN e forse in Italia - parlando dell'importanza del possesso palla. Può essere sterile? Okay, ma chi ha la palla non subisce gol. E soprattutto sfianca gli altri. E lo ha detto, finalmente: il calcio semplice è quello del chiudersi dietro e respingere, non il misurare le scalate in avanti. Spalletti è un innovatore e se dovesse andar via mancherebbe tantissimo al Napoli, che con lui ha trovato la quadra anche perché è l'allenatore con più vittorie in Serie A e ha sempre saputo mettere una pezza agli eventuali problemini che potevano venir fuori. Il calcio lo fanno i giocatori, ma Luciano Spalletti è un fuoriclasse assoluto nello sbagliare meno scelte possibili, che è ciò cui un allenatore deve anelare. Chi dovesse arrivare dopo di lui... ma no! È stato un Napoli incredibile. Vada come vada.
A cura di Mattia Fele
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