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editoriali

Il Napoli impara a separare dalla gramigna le spighe dorate. Sa dove colpire, come e quando

Mattia Fele

Se stabilmente navighi tra i primi tre posti per dieci anni, prima o poi una volta arrivi primo. È l'insegnamento che il Napoli dà a chi s'offende quando arriva sempre secondo. Altro che "primo tra i perdenti". Questo è dominio puro

L'ulteriore passo in avanti del Napoli di Spalletti versione 2023 si è visto contro Spezia e Cremonese. Due squadre modeste, con poche velleità di vittoria e con abissale differenza tecnica rispetto al Napoli ma pericolose perché infingarde nella possibilità di sottovalutarle, di contrastarle alla leggera. Non è questo l'anno, però: anche ieri sera al Maradona è andato in scena il controllo totale degli undici (più 5) padroni di casa, nonostante gli avversari ci avessero provato a cambiare la trama del film. C'è stato poco da fare soprattutto perché il Napoli ha troppe soluzioni e varianti: se non la giocata singola, la manovra collettiva. Se non il cross, il tiro da fuori. Se non il calcio di punizione, la verticalizzazione su Osimhen in linea diretta. E se tutto dovesse mancare, Raspadori e Simeone, Olivera e Ndombele. La panchina d'oro che col binocolo guarda allo Scudetto che pian piano sembra venire lui verso il Vesuvio, come la montagna da Maometto.

EKO

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Il campionato è una lunga corsa a ostacoli ma il Napoli non lo sa e fa strada dritta. Da agosto. Nel primo tempo contro la Cremonese un po' di difficoltà dovute a qualche sbavatura tecnica e all'accrescersi di una fiducia interessante - che lascia ben sperare a loro - da parte degli ospiti. Ai cinquanta e più minuti da Rambo di Sernicola alle belle intuizioni di Meité, al coraggio di Ballardini che nel secondo tempo butta dentro Valeri che pure poteva rappresentare una grana importante sulla fascia sinistra. Come fanno le grandi squadre, è però il Napoli a dirigere l'orchestra - restando in tema sanremese -. Attacca e accelera quando vuole. Tira quando vuole. Inventa quando serve. Laborioso che separa la gramigna dalle spighe dorate e colpisce al momento corretto come a La Spezia. Così Kvaratskhelia nel primo tempo ne salta due e infila Carnesecchi piano piano. Sempre con delicatezza e con quella tecnica imprevedibile. Il georgiano non sai se attaccarlo nel breve, nel lungo, se dargli il sinistro o il destro. Se aspettarlo o andargli incontro. Aveva ragione lui quando parlava in tempi non sospetti di "studiarmi non gli servirà a niente".

Si diceva ad inizio anno che il Napoli fosse una squadra difficile da commentare perché imponeva un innalzamento di livello feroce anche da parte di chi scrive, anche nelle opinioni. Pure nei bar dello sport. Oggi una sola voce fa EKO (Elmas, Kvara, Osimhen: i tre marcatori di Napoli-Cremonese ndr) ed è quella che ammette finalmente che il Napoli è stato tramato, intrecciato bene. Costruito nel modo giusto, come l'amore di Ivano Fossati. Che spezza le vene nelle mani. Fa soffrire e dà gusto, gioia che rianima il tifo ferito (che merita il carro della vittoria, o no? È un tema). L'intensità dei recuperi palla, le chiusure, le esultanze di gruppo. La fase di rientro in difesa. Tutto spettacolo tattico e atletico che fa capire quanto nel calcio contino i momenti, gli episodi. Quanto le stagioni vadano col vento e la tecnica individuale se messa in un gruppo che non funziona diventa totalmente svuotata. Lo si vede col Milan, che l'anno scorso attaccava e difendeva in 11. Sembrava che Tonali avesse il dono dell'ubiquità. Oggi, perse quelle sicurezze di gruppo, perso quell'amore prende 5 gol dal Sassuolo ed è a -18 dal Napoli. Per vincere lo Scudetto dovrebbe fare 18 punti in più del Napoli nelle prossime 16 partite. Semplicemente non succederà.

Restano poche antagoniste e in generale poche briciole alle altre squadre, che intanto fanno mucchio mentre il Napoli fa il 26esimo clean sheet della gestione Spalletti. Si può pure poi citare Elmas, perché parlare di Osimhen diventerebbe stucchevole. Il terzo gol senza mai guardare la porta è spettacolare quanto il fatto che sia il sesto in campionato. Di cui quasi tutti da subentrato. La stagione realizzativa migliore del macedone è anche quella della sua consacrazione. Fa tutti i ruoli ma finalmente li fa bene. Ha quella voglia, quella freschezza. Tocca il pallone come pochi altri ma unisce a ciò delle nuove conoscenze tattiche, il cui merito non può non prenderselo Spalletti. Chi, se no. L'allenatore di Certaldo è sempre troppo modesto ma in sé sa bene che dovunque sia andato ha apportato innovazioni in Italia. Ieri Dodo in Juventus-Fiorentina provava a giocare alla Di Lorenzo (contro le difese a 3 è l'ideale, si va a mettere in imbarazzo l'uscita del braccetto). La stessa costruzione a 3 difensori più un terzino che si annette alla linea degli attaccanti o fa il quinto in possesso è invenzione di Spalletti. Era un Napoli-Roma e finì 1-3. Il terzino era Florenzi. Poi Totti, Perrotta, Pizarro. L'Udinese in Champions League per la prima volta. Brozovic che poi è andato in finale al Mondiale in Russia. Oggi Spalletti abbraccia Lobotka e cita Napoli come unico motivo per star sempre sul pezzo ma la verità è che lui è il capolavoro di De Laurentiis. Nella scelta, nella visione. Pensando sempre che nel 2003 il Napoli era fallito e che ha una storia di Scudetti inferiore al Genoa e alla Pro Vercelli. Due squadre che hanno solo la storia e non la storia recente. Ma si mangia col presente. E il Napoli ha vinto la 19esima partita ed ha 59 punti su 66 disponibili.

 

A cura di Mattia Fele