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editoriali

Identikit dell’uomo in tuta che si sgola a bordocampo: i mille volti di un allenatore

Emanuela Castelli

Identikit dell'uomo in tuta che si sgola a bordocampo: i mille volti di un allenatore

La vittoria di ieri sera del Napoli al Maradona contro il Bologna e le dichiarazioni in conferenza stampa di Spalletti rimandano ad un concetto bellissimo e caldo: quello di protezione

Quando hai qualcosa di bello, prezioso, irrinunciabile, tendi a proteggerlo, ed è quello che è accaduto oggi dopo Napoli-Bologna a Spalletti

Spalletti che non ride, Spalletti attore, Spalletti che non si lascia andare alle emozioni. Troppo prudente, troppo incline alla malinconia, troppo polemico. "Ma come - si diceva fino a qualche settimana fa - vince e pensa a rispondere alle critiche sulla scorsa stagione? Ma non sa proprio godersi il momento, quanto è pesante, sorridesse di più!". Spalletti stratega, Spalletti da Oscar, Spalletti antipatico, che più antipatico non si può. Quando si vince, poi...Soprattutto quando si vince! Ché la "freddezza" non te la perdonano quando perdi, figuriamoci quando vinci! Se non ti esalti non sei umano, se non gioisci non provi niente. Assiomi emozionali indimostrabili, declinati con una fierezza e convinzione che neanche gli astrofisici nucleari da Nobel dopo una scoperta che cambierà le sorti dell'Universo da qui al prossimo millennio. Ma l'antipatico Spalletti ha proseguito per la sua strada, ché in quelle scarpe ci sta lui, in un cammino che condivide con 25 ragazzi verso cui si sente responsabile, come un padre che sa che molto della loro crescita dipenderà dalle sue scelte, dai suoi comportamenti.

“Essere un allenatore vuol dire essere soli e assumersi le proprie responsabilità.”

Così Zinedine Zidane, che lega inscindibilmente il ruolo dell'allenatore al concetto di responsabilità. Non c'è l'uno senza l'altro. Mai. L'allenatore è il primo a pagare quando le cose si mettono male: "“Ci sono solo due tipi di allenatore: chi è stato licenziato e chi aspetta di esserlo"  (J. J. P. Kirwan). E' lui, l'uomo in panchina che si sgola a bordo campo, quello di cui viene chiesta la testa quando la squadra non vince, quando si perdono incontri importanti, quando quella palla non gira come dovrebbe ed i giocatori sembrano non averne più. Se un attaccante firma una stagione straordinaria, lo si deve alla bravura sconfinata dello stesso, non all'allenatore che magari ci ha lavorato per un anno intero, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, affinché sgomberasse mente e gambe dei propri pesi e riuscisse a spiccare il volo. Spalletti lo sa: sa che ogni parola, ogni sguardo, finanche ogni sorriso può rappresentare messaggio importante per i suoi ragazzi e per una tifoseria che vive di calcio 24h al giorno, 365 giorni l'anno. E così diventa bilancia, centellinatore di emozioni, contagiri di un'emotività che potrebbe rivelarsi arma a doppio taglio. Ché nulla è dato fino a quando non si è conquistato: per questo è più facile parlare della stagione andata, rispetto a quella in corso. Quando ci si volta indietro, non si rischia poi molto: il passato, bello o brutto che sia stato, non si cambia; il futuro, invece, è una responsabilità che si costruisce nel presente. E così, nonostante le vittorie, Spalletti bacchetta uno stratosferico Kvaratskhelia per il suo dribbling insistito, o tutti i suoi per quell'errorino lì che non ha permesso alla squadra di andare in goleada.

E poi arriva Napoli-Bologna e, con questo, l'errore di Meret...

Errorone, papera, gaffe da dilettanti? No, tutt'altro: un erroretto. "Ci son voluti più di due mesi di partite intensissime per vedere una leggerezza di Meret, che può succedere: sono cose normalissime. Ha fatto due buonissimi interventi anche stasera, questo significa che abbiamo un gran portiere: fa solo un erroretto dopo due mesi di partite di un livello così alto". E così, da antipatico e freddo, da criticone in grado di trovare qualcosa che non va anche a margine di vittorie straripanti, ecco che Spalletti diventa tenero, morbido, avvolgente. Apre la sua ala e la distende sul portiere azzurro, autore  ieri sera di una prestazione ben al di sotto delle sue capacità, che pure ci ha mostrato con fierezza in questi primi due mesi di stagione. Una reazione stratosferica, quella di Alex, soprattutto perché a ridosso di un'estate terribile in cui - sfiduciato pubblicamente dal suo stesso allenatore - era stato molto vicino allo Spezia. Lo Spezia. Una reazione magistrale, quella di Luciano, che ieri sera abbraccia virtualmente il ragazzo, se lo coccola, lo protegge. Magari temendo che possano riemergere alcune fragilità del passato. Magari solo per senso di giustizia verso questi due mesi, in cui ha rappresentato certezza tra i pali azzurri. Ché si tende a dimenticare troppo in fretta, e a passare dall'esaltazione alla critica feroce nel breve spazio che intercorre tra un palo e l'altro.

Un bravo Coach deve fare un passo in più: mostrare al suo giocatore orizzonti più vasti e lavorare sui suoi sogni, svegliarlo dalla noia, aiutarlo a tirare fuori il potenziale che non immaginava di avere, stimolarlo e portarlo a superare il limite dei suoi limiti

Parole e musica di Gian Paolo Montali, allenatore di pallavolo. Luciano lo sa, che "non bisogna fidarsi di quello che ci dicono, ma di quello che riusciamo a fare". Non si fida delle lusinghe viscerali, ma nemmeno delle critiche ad oltranza. Equilibrio, misura, bastone e carota. Ché quando c'è da rimproverare, ci va giù pesante. Ma quando c'è da accarezzare, sa farlo come un padre tenerissimo, che non teme di sembrare meno forte. "Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c'è altra strada". E, per la strada della forza, prego: seguire Luciano Spalletti.

Avanti, Napoli!