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“Dries Mertens non è più quello di una volta” ed altre simpatiche barzellette italiane

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Giornata regolare sul pianeta Terra: le rose sono rosse, le viole sono blu, l'acqua è bagnata e Dries Mertens ha di nuovo determinato un risultato positivo per gli azzurri. Se qualcosa non vi torna, consigliamo l'Acutil Fosforo

Mattia Fele

Oscar Wilde una mattina si svegliò e stiracchiandosi disse che chi semina bontà in questo mondo raccoglie solo ingratitudine. Siamo sicuri che se Mertens avesse un metaforico orto raccoglierebbe strani improperi e non piante rigogliose, che gli sarebbero dovute in qualità di calciatore più prolifico della storia del Napoli. Parliamo di un campione internazionale ed è bene che lo capiate, prima di rimpiangerlo come accaduto con Marek Hamsik (che dà ancora spettacolo in Turchia ed ha la stessa età di Dries ndr).

Impatto, non contatto!

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Il Torino ha dato fastidio al Napoli perché, per definizione e composizione, la squadra granata ha nelle corde un agonismo che gli azzurri non conoscono. Al di là dell'uomo-contro-uomo un po' tossico professato da Juric, ragazzoni come Singo, Belotti, Bremer, Djidji e Ola Aina batterebbero a braccio di ferro senza sudare i vari Mario Rui, Rrahmani, Demme, Lobotka, Insigne, Politano messi insieme. Per fortuna il calcio non è solo questione di spinaci e proteine: la squadra di Spalletti ha saputo restare compatta anche nei momenti di grande sofferenza e dilatazione degli schemi, con l'aggiunta di alcuni interventi di Ospina ed un ubiquo Zambo Anguissa. Questo il primo tempo, dove nessuno ha prevalso e le porte sono rimaste inviolate, con una grande concentrazione di gambe in mezzo al campo e poca spinta verso il disequilibrio.

Nel tunnel degli spogliatoi Spalletti aveva avvertito i suoi calciatori di lanciarsi all'impatto, non al contatto; avvicinarsi e arrivare in tempo dinanzi al calciatore avversario per limitare il suo orizzonte di manovra, senza per forza mordere, guardando al pallone e non ai tendini d'Achille. Questo ha permesso alla squadra di restare solida e tentare subito la verticalizzazione una volta recuperata la sfera, con tagli un po' improvvisati (Mario Rui si accentrava moltissimo ndr) per tentare scambi veloci sulla trequarti. Ma un po' uno Zielinski fievole, un po' un Insigne scoraggiato, e mai il Napoli in versione Spiderman è riuscito a tessere una tela abbastanza avvolgente per il reparto difensivo avversario. Le due occasioni migliori solo su calci da fermo: il rigore e il gol annullato - giustamente - a Di Lorenzo, il povero terzino che sarà costretto a giocare altre 6 gare da titolare in 18 giorni.

Ma ecco il fulmen in clausula che sconvolge i piani ed asseconda il destino di un Napoli che ha centrato l'ottava su otto: l'ingresso di Dries Mertens è stato sintesi del monito toscano. Impatto, perché quando entra lo stadio si scalda (e se l'è meritato questo status, se l'è creato) e i compagni ricevono una carica e una tenerezza, una forza indescrivibile. Senza contatto, perché non dà neanche il tempo di capire dove sia il pallone e dove vada il suo corpo, elegante e astuto come una lince. Così, se Victor Osimhen ha siglato il goal decisivo su assist involontario di Elmas, il merito è tutto suo.

Ci ha fatto passare tutti per co***ni

mertens

 

Queste le parole di Sarri, interpellato qualche anno fa sul rendimento del pupillo belga:

“Per quanto riguarda Dries, è stato un limite nostro: non ci siamo accorti che è un attaccante. Tutti quelli che lo hanno allenato, me compreso, hanno sempre pensato che fosse un giocatore abile a spaccare le partite a gara in corso, invece con queste prestazioni ci ha fatto passare tutti per co***ni”.

Se n'è accorto uno dei migliori tecnici italiani, di certo il migliore che si sia mai seduto sulla panchina del Napoli. Per alcuni però è ancora difficile da comprendere: Mertens è un attaccante di una spanna superiore a tutta la rosa. È moderno nella sua semplicità, perché è scaltro, tecnico, veloce, vede il calcio e segna in tutte le maniere. Può giocare sottopunta, ala, centravanti e nessuno vieta che un giorno possa arretrare a mezzala. Non ha limiti e si è visto anche ieri, quando ha scambiato con Osimhen e Koulibaly, giocando col corpo e col pallone, toccandolo 10 volte in 2 centimetri quadrati di spazio. E tutto il Toro danzava confuso attorno ai suoi movimenti quasi sensuali, ritmati e calibrati in ogni passo. Gli è bastata un'azione per decidere una partita bloccata e difficile. Una partita che sì, valeva solo tre punti, ma non dimentichiamo che: con tre punti in più il Napoli l'anno scorso sarebbe andato in Champions anche non battendo il Verona; con tre punti in più il Napoli nel 2018 avrebbe lottato ancora per altre giornate con la Juventus per lo Scudetto. A volte tre punti sono tutti i punti.

La storia magistra vitae ci insegna che è meglio star zitti e fingere di essere competenti, che parlare e togliere ogni dubbio: alcuni percorsi vanno oltre i confini contrattuali, i legami e le aspirazioni. Così per Insigne, così per Mertens, così anche per Hamsik a suo tempo. Questi qui non sono soltanto bandierine da sventolare, simboli da vessare od idoli da perseguitare. Sono calciatori di straordinaria fattura. Impariamo il rispetto per il talento.

A cura di Mattia Fele 

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