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editoriali

Mazzarri come Sarri e Spalletti: così il Napoli è di nuovo in mano a un «maestro di campagna»

Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

In un modo o in un altro, il simile riconosce il simile. Così il Napoli per la terza (diremmo quarta) volta ritrova i suoi maestri, insegnanti sul campo più che tecnici nel senso moderno. Per niente gestori

Walter Mazzarri è il nuovo allenatore del Napoli. De Laurentiis ha compiuto l'ennesima scelta forte (si spera non ancora sbagliando) cercando di mettere una pezza importante a quanto fatto con Garcia. Un tecnico per nulla aggiornato che con il suo savoir faire aveva ammaliato De Laurentiis in quei 10 giorni di frequentazione. Oltre al fatto di aver ricevuto parecchi no tondi tondi per succedere a Spalletti. Diremmo che succedere a Garcia e avere in rosa Kvaratskhelia e Osimhen non sia proprio un'operazione coraggiosa. Eppure Garcia di coraggio sul campo ne ha dimostrato zero, benché sia stato subito pronto ad accettare il progetto. Con la stessa velocità più o meno con cui l'ha fatto parzialmente affondare. Gira e rigira, De Laurentiis si è guardato intorno ed è tornato non al suo ex tecnico, ma alla tipologia di tecnico (l'unica) che a Napoli ha sempre fatto bene: il maestro di campagna.

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La citazione fu coniata nel 2015-16 da Fabio Caressa e ci sembra utile per indurre al discorso di cui sopra. Il Napoli e i suoi calciatori hanno avuto ed hanno ancora una dimensione tale per cui hanno bisogno di gioire del proprio gioco, di essere finemente educati sul piano tattico. Questo perché non sono superstar che guadagnano 15 milioni all'anno (e per molti anni non ne vedremo qui sotto al Vesuvio ndr) e non vivono della propria rendita né si autogestiscono sul campo. Non che esistano calciatori che facciano bene ad autogestirsi - è chiaro - ma è pur vero che non si può negare che ci sia una ragione se Sarri e Ronaldo non sono mai andati d'accordo. O in generale Sarri nell'ambiente Juve. O se Conte poi alla fine non l'abbia mai preso né il Real né il Barcellona. Certi top club e certi giocatori di livello mondiale - con spogliatoi annessi - non accetterebbero guide di questo tipo.

Mazzarri parte dalla tecnica e dalla tattica individuale come Sarri e Spalletti. Perde ore, minuti, sudore a far calciare chi deve migliorare il tiro. A far crossare chi deve migliorare il cross. A far muovere nello spazio quelli che devono attaccarlo. Non sa neanche minimamente cosa significhi la libera interpretazione del gioco. Perché lui nel gioco vuole entrarci e vuole orchestrarlo, cercando di insegnare (dal latino: lasciare il segno) ad ogni suo singolo calciatore qualcosa in più rispetto a quello che già sa in termini di calcio vero. Siamo certi che questo sia molto lontano da ciò che ha fatto Rudi Garcia, sicuramente molto vicino ai calciatori come tempra e disponibilità ma poco incline alla virtù della trasmissione del talento. A Napoli l'impressione avuta è stata quella prima dell'imposizione, poi del compromesso e infine di un equilibrio per nulla condiviso. Nessun calciatore sembrava contento di quello che facesse sul campo, al di là dei rapporti personali. Questo con Mazzarri, Sarri e Spalletti sarebbe inammissibile.

Che Mazzarri faccia bene o male al suo ritorno, - molto struggente, ma bisognerà vedere quanto funzionale in campo nel pratico - la realtà è che De Laurentiis è andato ancora una volta (come dopo Benitez, come dopo Ancelotti) a pescare nell'urna dei maestri di calcio e non degli altri. Mazzarri parlerà a Kvara, a Di Lorenzo, a Lobotka una lingua di campo. Quella che questi ragazzi conoscono bene e non solo perché grazie a questa hanno vinto l'anno scorso, ma perché si trovano ad un livello per il quale non vogliono smettere di apprendere. Anche a costo di perdere, il Napoli deve avere un suo marchio.


A cura di Mattia Fele

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