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editoriali

“Ciao Walter, ci sediamo ad un bar così ti offro un caffè?”

mazzarri napoli
Lunedì 20 novembre, ore 13:48: pensiero primo della giornata...
Alex Iozzi

"Sono in terribile ritardo, lo so, e per scelta voluta, come se non bastasse. Ma prova a compatirmi: è stato uno shock ricevere una notizia del genere. In pieno pomeriggio, durante una noiosissima lezione universitaria, senza alcun tipo di preavviso... È stato come riabbracciare un padre partito per chissà quale spedizione in mezzo ai mari più insidiosi - per l'animo di un figlio -. Un padre che, passato ormai un decennio da quel giorno buio, eri convinto di non rivedere più, se non nei sogni più reconditi della mente, che invano hai cercato di nascondere affinché le lacrime non ti bagnassero il viso. Le stesse lacrime che una settimana fa, quando hai aperto la porta, sono evaporate. Scomparse, come il sentore di mancanza che ha alloggiato nel cuor mio per tremilaseicento giorni - o almeno credo, la matematica non è mai stata il mio forte -. Sarà stata la delusione a guidar le mie azioni; sarà stato il tempo che, come direbbe la nonna - adesso a riposo nel posto più bello che esista in Cielo - "È in grado di guarire ogni ferita", anche le più vistose e sanguinarie; sarà quel che sarà, ma il tuo ritorno a "casa" non mi ha reso felice e sorridente come l'avevo immaginato nel mio cervello, la vera vittima di questa storia.

"Ehi Nostalgia! Portami via, se no sto male..."

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Poi, la mattina dopo, mi sveglio. Il calendario segna 15 novembre, giorno: mercoledì, centro perfetto della settimana - è la mia storia, okay? Fate finta che il giovedì non esista -. Hai presente quell'energia incontenibile che sprigioniamo unicamente quando sorge il sole? Quella che ci invoglia a vivere la giornata? Ecco, io no, specialmente quando mi tocca alzarmi in contemporanea al canto dei galli, se non addirittura in anticipo. Mettendo da parte la mia esistenza triste e monotona, mi lavo, mi vesto, faccio colazione al volo, a momenti dimentico di dare una sistemata ai miei capelli - comunque inguardabili - e mi reco in stazione, con la complicità di mamma che è costretta tutti i santi giorni a sopportare la mia fastidiosa - e qualcosa di più - presenza. - Se mai dovessi leggere questo articolo, ti voglio bene -. Come da routine, perdo il treno per colpa del solito controllore che non si fida né di me, né del mio abbonamento - grazie, Trenitalia -. Il prossimo per Napoli passa tra un quarto d'ora, ritardi esclusi. Lezione numero uno del giorno: seguire sempre il proprio sesto senso. Se il tuo naso respira una brutta aria, prendi la decisione giusta: stai a casa a marcire nel letto!


Per illudere l'attesa, infilo gli auricolari nelle orecchie e lascio che la musica scorra. Almeno lei mi tiene compagnia. Riproduzione casuale: in cuffia risuona "Days Are Forgotten" dei Kasabian. Il destino vuole comunicarmi qualcosa. La canzone che Sky Sport utilizzava durante il pre partita dei match di Serie A. Ma non stagioni qualsiasi: quelle in cui sedevi sulla nostra panchina. "Nostra", sì, perché Napoli - non solo società - è tanto mia quanto tua. La mia terra di nascita, la tua di adozione: la "nostra" terra. Non me ne voglia San Vincenzo, ma "Al cuor non si comanda". Quel cuore rimasto impassibile al tuo varcar l'uscio della dimora "mia" che non credevo più "tua". Quanto mi sbagliavo. "Quanto egoismo ed apatia in un solo corpo", ho pensato. Un'apatia che non m'appartiene, che si è spenta al richiamo della memoria, dei ricordi felici. Ma quanto siamo stati bene insieme, Walterò? Te la ricordi la rimonta di Torino? Io, sfortunatamente, no - dovrei smetterla di porti domande retoriche -. Chiariamo: è scolpita nella mia mente, ma non l'ho vissuta, così come la stagione del ritorno in "Coppa UEFA", nome che tanto piace ai figli del Vesuvio un po' avanti con l'età. A mia discolpa, ero troppo piccolo, ma mi sarei rifatto l'annata successiva. Di quella sì che ho memoria, fin troppo vivida.

"L'amore spacca - e, alle volte, ripara - il cuore"

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Vuoi sapere qual è stata la mia prima partita da tifoso? Quella con il Lecce. Esatto, l'andata. Grava(tar) che salva sulla linea di porta e nega la gioia del gol a Daniele Corvia. Ripartenza qualche minuto più tardi ed "El Matador" che scaglia il pallone dove il povero Antonio Rosati non può neanche provare a mettere i guanti. Una casa ribaltata in meno di trenta secondi. Mio padre, mio zio, le mie cugine ed il sottoscritto uniti dalla bellezza di uno sport, il più sentimentale che l'uomo potesse mai creare. Quella sera mi innamorai per la prima volta: del calcio, del Napoli, di te e del signore con la 7 sulle spalle. A proposito, c'è un quesito al quale proprio fremo dalla voglia di conoscerne la risposta: ma a quello là, esattamente, cosa davi da mangiare? Ah e, giusto a titolo informativo, la tripletta di testa alla Juventus è tutta merito del doping, vero? Per non parlare della prestazione da alieno offerta contro il Dnipro... Ho indovinato? Dai, siamo in intimità: con me puoi essere sincero! Se solo non stessi recitando un monologo di fronte ad un foglio bianco da almeno mezz'ora...

Facciamo finta che stia per raccontarti, in prima persona, un ultimo aneddoto. Hai presente l'incontro che sancì la qualificazione di Partenope in Champions League a ventun'anni dall'ultima partecipazione? Quella con l'Inter, il pareggio più soddisfacente che un paesano dal sangue azzurro avrà mai il piacere di vivere. Ecco, ero seduto di fianco a papà, la persona che ha reso possibile il presente che sto cercando di costruirmi e che, al triplice fischio dell'arbitro, perse totalmente il senno. Ed io, bambino grande appena un anno in più del lustro, non ne capivo niente di classifiche, regolamento, e quindi sorridevo. Ma non per l'esito della partita, bensì per mio padre che si comportava da emerito idiota - crescendo, mi avrebbe plasmato a sua immagine e somiglianza... E lo ringrazio per questo -. "Giovanotto, guarda che il treno sta partendo! Non vorrai mica perderlo di nuovo!". Ammazza, e come passa in fretta un quarto d'ora... E quante lacrime è in grado di far versare una ventata di nostalgia...

Tiro corto che mi sto annoiando da solo. Tutto questo sproloquio, Walterò, per dirti una frase così banale e semplice da pronunciare, ma pregna di significato: tu non sei un allenatore, Walterò. Tu sei il mio allenatore. Sei l'allenatore di quelli che a Napoli chiamiamo "'e criature", quelli come me cresciuti con le rimonte di "Paolo Capitano" e compagni. Sei l'allenatore della difesa a tre, comandata dal "Pirata Morgan", di "Superbike" sulla fascia, della cazzimma di Gargamella e delle botte da fuori di Gokhan Inler. Sei l'allenatore dei tre tenori: della cresta alta di "Marekiaro", dei balletti de' "El Pocho", del centravanti più dominante ammirato in Serie A nei primi anni '10: Edinson Cavani. Sei l'allenatore delle imprese europee: dalla vittoria schiacciante con il Manchester City - futuro campione d'Inghilterra - di Roberto Mancini, passando per la doppietta di Federico Fernandez all'Allianz Arena, per arrivare al sogno "quarti di finale" sfiorato contro il Chelsea di Villas-Boas - anch'egli, futuro campione del continente -. Chissà cosa sarebbe accaduto se Maggio avesse buttato dentro quel pallone... Probabilmente, la carriera del fu tecnico Blues Di Matteo si sarebbe conclusa ancor prima di poterne dare una parvenza di avvio. Sei l'allenatore del "San Paolo". Non Benitez, non Sarri, non Ancelotti, non Gattuso, ma tu. Luciano è quello del "Maradona", tranquilli. Sei l'allenatore della squadra con il cuore più grande che abbia mai visto calcare il rettangolo verde, delle notti più romantiche della mia infanzia - e non solo -, con picco raggiunto in quella del 20 maggio 2012: il mio primo "Napoli campione". Sei, come ho già sottolineato in precedenza, il mio allenatore, comunque vada questa seconda esperienza con indosso i "nostri" colori. Ti chiedo scusa, Walterò, per aver reagito in maniera cotanto fredda al tuo rientro nella patria che ti ama tanto quanto la ami tu. Dunque, semmai dovessi trovare il coraggio di perdonarmi, te lo fai offrire quel caffè?".

Lettera a cura di Alex Iozzi, tifoso innamorato, al suo condottiero di una vita.

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