Walter Mazzarri ha preso Napoli come l'occasione della vita. Come il karma a restituirgli qualcosa dopo essere stato mediaticamente classificato come allenatore mediocre
Forse già aleggiava l'addio in casa Napoli, quando Mazzarri parlò di Spalletti a Ivan Zazzaroni in una lunga intervista per Il Corriere dello Sport. Un'autocandidatura che poi De Laurentiis ha preso seriamente in considerazione - se non lo stava già facendo dopo Napoli-Fiorentina - mettendolo alla guida di una squadra troppo forte per essere quella messa in campo da Garcia. In quell'occasione l'ex Inter e Sampdoria aveva dato tutti i meriti all'allenatore di Certaldo, dicendo - con un'umiltà che noi di lui non ricordavamo - di aver studiato, appreso e ammirato ogni movimento dei calciatori del Napoli. Perché un allenatore che sta fermo questo dovrebbe fare: aggiornarsi e studiare la teoria. Che poi la pratica sia un altro mondo è anche un assioma condivisibile, ma è certo che Garcia non ha mai dato l'impressione di aver trasmesso concetti coraggiosi e moderni a calciatori coraggiosi e moderni.
Eufemismi
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Anzi, più che impressione, è dal 19 giugno 2023 che Garcia ripete: "Ora ci sono io, non so cosa ci fosse l'anno scorso". Che se vogliamo, oltre ad essere un errore clamoroso dal punto di vista comunicativo e sminuente verso la gestione del predecessore, è pure un errore tecnico-tattico. Oltre che (forse) una bugia. Garcia ha accettato il Napoli di certo non perché qualche sultano arabo gli aveva parlato all'orecchio spiegandogli che Kvaratskhelia stava iniziando a scioccare il pianeta calcio. Ha accettato la proposta perché sapeva cosa fosse il Napoli, ma non ha mai voluto (e siamo certi che sia in parte anche un'autoammissione) parlare del passato né studiarlo con attenzione. Con gli stessi undici dell'anno scorso - fatta eccezione per Kim - non ha mai avuto l'idea di guardare qualche filmato passato per cercare di comprendere, per esempio, come tenere le linee strette? Non ha mai ascoltato, se non troppo tardi, il suo gruppo?
Nella differenza di approccio anche comunicativo tra Mazzarri e Garcia c'è un mare che spiega perfettamente perché uno sia più adatto dell'altro ad allenare il Napoli. In primis, Mazzarri non ha mai smesso di definirsi uomo di campo e di tattica. E da questo vengono i calciatori del Napoli e questo vogliono. Che poi gli siano state date squadre come il Torino o il Cagliari è un altro discorso. Dubitiamo in questa sede che se Klopp sostituisse Ranieri vincerebbe lo Scudetto in Sardegna. Anzi. Migliorare i calciatori era il suo credo e lo ha portato a termine finché ha potuto, ma si sa che in certi ambiente conta di più la garra e far punti. Ma sulle tipologie differenti di allenatori adatti al Napoli abbiamo già discusso. Garcia non può davvero aver detto di non aver mai visto il Napoli di Spalletti. E noi - pare assurdo - ne stiamo pagando il peso a mesi di distanza. Di una dichiarazione che ha sfiorato la blasfemia.
Per usare un eufemismo, diciamo che il francese non è esattamente un tipo insicuro e laborioso. O almeno così è sembrato a Napoli per comportamenti e atteggiamenti. Arrivato col sorriso, partito col sorriso. Di quelli per nulla rassicuranti e che nascondono subdoli un po' di isteria. Mazzarri è un vero, uno che non ha paura di avere delle idee. Uno che dice "il mio calcio" ma che soprattutto questo principio lo mette in discussione di continuo e lo associa all'evoluzione del gioco. Questa sarà la squadra più forte che abbia mai allenato e siamo certi che riuscirà a darle qualcosa di importante, non solo dal punto di vista dell'anima. A questi ragazzi servono pochi concetti teorici e poi tranquillità nelle scelte, condivise e condivisibili. Ragionevoli, fatte da uomini che vogliono veramente dimostrare qualcosa. Così come gli stessi calciatori l'anno scorso erano affamati e avevano trovato in Napoli un traguardo (i vari Simeone, Kim, Kvara). Napoli è un traguardo per Mazzarri, per Garcia era un parcheggio felice che dava sul mare e sul Vesuvio. Come si dice "ma anche no" in francese?