3 novembre 1985, la punizione a due contro la Juventus
—Sotto al cielo della più classica delle domeniche uggiose, il Napoli affronta gli acerrimi rivali della Juventus, reduci da otto vittorie in altrettante partite. Il match faceva fatica a sbloccarsi, quando al 72' l'arbitro Giancarlo Redini concede una punizione a due in favore del Napoli nell'area bianconera. Sul pallone si presentano Eraldo Pecci, battitore, e Diego Armando Maradona, tiratore. Il portiere avversario Stefano Tacconi piazzò una barriera da ben cinque uomini che, irregolarmente, si erano posti a poco meno di tre metri dalla sfera, rendendo impossibile ogni tentativo di conclusione a rete. Pecci lo fa presente al Pibe, che poco prima aveva replicato: "Tanto gli faccio gol comunque" al suo capitano Giuseppe Bruscolotti, convinto che agli azzurri andasse fischiato un rigore. Dopo il tocco all'indietro di Pecci, con un'autentica torsione della caviglia, quasi a voler accarezzare la sfera, Diego scavalcò la barriera e piazzò il pallone in un angolo impossibile, rompendo ogni legge fisica. Grazie a tale prodezza dai sentori divini da parte del più forte di sempre, gli azzurri vinsero lo scontro diretto e volarono al primo posto in campionato.
9 novembre 1985, il litigio con Papa Wojtyla al Vaticano
—Da sempre fortemente cattolico, Diego Maradona non rifiutò la possibilità di prendere parte a un'udienza in Vaticano con l'allora Papa Giovanni Paolo II. Alla messa prese parte tutta la sua famiglia: i genitori Don Diego e Dona Tota, i suoi otto fratelli e la sua compagna Claudia Villafane. Il buon Diego, tuttavia, non perse l'occasione di inimicarsi una figura di spicco come il Papa. All'affermazione di Wojtyla secondo cui la Chiesa si stesse occupando dei bambini poveri e dopo aver toccato con mano l'inestimabile ricchezza vaticana, Diego rispose con un irriverente: "La Chiesa pensa ai bambini? Allora vendi il tetto amigo, fai qualcosa". Si trattò di una sparata delle sue, dalla quale il Pelusa fece dietrofront poco tempo più tardi.
1 maggio 1988, l'ennesima magia (amara) su punizione contro il Milan
—È una domenica che sa d'estate in quel di Fuorigrotta. Il Napoli, campione in carica, ospita il Milan di Arrigo Sacchi in quella che fu una vera e propria finale Scudetto. I rossoneri passano in vantaggio al 36', col gol firmato da colui che diventerà l'eroe di giornata, Pietro Paolo Virdis, autore di una doppietta. Gli 83.000 del San Paolo, però, non ci stanno, e spingono i partenopei verso il pareggio. Allo scadere della prima frazione di gioco, si alza un campanile nei pressi dell'area meneghina; El Diez, circondato da ben cinque maglie rossonere, effettua un sombrero che inganna i difensori avversari, all'epoca i migliori del mondo. Solo un voluto fallo di mano da parte del leggendario capitano Franco Baresi ferma la corsa in porta dell'argentino: è calcio di punizione da posizione favorevole. Maradona non ci pensa due volte a calciare sul primo palo protetto da Giovanni Galli, il quale tocca il pallone ma non riesce a fermarlo: è 1-1. L'arcobaleno disegnato dal Pibe de Oro non sarà sufficiente ai fini del risultato, perché il Milan vincerà 3-2 e si lancerà verso la conquista dell'undicesimo Scudetto della sua storia.
10 luglio 1990, la risposta a muso duro ai fischi degli italiani
—Mondiali di calcio del 1990. Ci troviamo sempre a Napoli, in una delle due semifinali del torneo: il fato volle che a scontrarsi al San Paolo furono l'Italia, paese ospitante della competizione, e l'Argentina di Diego Maradona, campione in carica. Il pubblico di casa, diviso tra il supporto per la Nazionale o per il loro beniamino albiceleste, fu il simbolo di quella tensione che si protrasse per una settimana. 10 luglio 1990, finale del Mondiale: Argentina contro Germania Ovest. Al suono dell'inno argentino, l'ospitante Olimpico di Roma rimbomba a causa dei fischi di casa. La regia inquadra Jorge Burruchaga, Gustavo Dezotti, Nestor Sensini... fino all'estremo difensore Sergio Goycochea e al capitano Diego Armando Maradona. Per Dios, quei fischi erano come schegge di vetro che si conficcavano nelle orecchie: un'agonia totale. Appena la telecamera lo inquadrò, in mondovisione pronunciò senza fronzoli: "Hijos de puta, hijos de puta". L'Argentina, alla fine, perse la finale allo scadere, dopo decisioni arbitrali piuttosto dubbie. Ciò che rimase di quell'amaro pomeriggio romano, è che El Diego aveva dichiarato guerra all'Italia e al mondo intero.
6 novembre 1990, la polemica partenza per Mosca
—5 novembre del '90, il Napoli atterra a Mosca per la gara di ritorno degli ottavi di Coppa Campioni con lo Spartak tra numerosissime polemiche. Il motivo? L'assenza di Maradona. Tra infortuni, i soliti problemi con la stampa locale e alcuni nodi contrattuali con il club, Diego non volle sapere niente: a Mosca non ci sarebbe andato. Eppure, nonostante tutto, l'idea iniziale era quella di trascorrere l'anniversario di nozze con sua moglie Claudia proprio nella capitale sovietica. Al termine della telenovela, Diego e Claudia partiranno a proprie spese con un jet privato. Quando i due raggiunsero la Piazza Rossa, chiusa al pubblico a quell'ora, su richiesta del Diego furono fatte accendere le luci su tutta la zona per permettere alla coppietta sudamericana di godersi il momento. Celebre sarà l'immagine del capitano azzurro colto nell'indossare una lunga pelliccia nera sopra la tuta societaria. Il giorno dopo, nonostante il tecnico Albertino Bigon e il dirigente Luciano Moggi avessero concordato sulla non convocazione del Pibe, quest'ultimo riuscì comunque a conquistare un posto in panchina, subentrando ad un giovanissimo Gianfranco Zola al 65'. Il Napoli perse quella partita ai rigori, segnando l'inizio dell'epilogo maradoniano all'ombra del Vesuvio.
A cura di Gianmarco Nurra
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