Anche tutte le sue parole hanno avuto un acume straordinario. Sempre. Anche nei momenti di difficoltà. Anche quando la vita - da una parte pure per sua scelta - si è messa di traverso. Ma le sue debolezze fanno parte della sua enorme sensibilità, della vicinanza ai meno abbienti. Della sua immensa comprensione della vita e dell'altro, tale da non riuscire a sopportare le ingiustizie e cadere in fragilità devastanti. Diego ha preferito fare del male a sé ma fare del bene a chiunque altro. Questo può farlo solo chi nella stra-grande maggioranza dei casi ha un quadro attento e preciso di come nel mondo funzionano le cose. Anche per questo, forse, ci è stato "mandato" nel periodo in cui le differenze sociali si stavano acuendo verso l'irreversibile. Forse è stato tra i primi politici a dire in viso ai ricchi che esistessero anche i poveri, e che il divario si stava allargando troppo. Dall'Argentina a Napoli. Ha unito trasversalmente il mondo provando a far capire che - vivendo ogni strato sociale letteralmente grazie al suo mestiere - le differenze sono solo relative. È tutta fortuna.
Per nessun'altra ragione un uomo del genere potrebbe aver scelto Napoli dopo Barcellona, in un momento di slancio pazzesco della sua carriera. Voleva stare tra la gente. Insegnare e imparare. Comprendere a fondo il mondo da tutte le sfaccettature e soprattutto mettersi in discussione, principio che nel calcio moderno non esiste. Messi e Cristiano Ronaldo non sarebbero mai venuti al Napoli. Neanche Mbappé lo farà mai. Eppure oggi si può dire che la dimensione del club è due-tre volte superiore ad allora come contezza europea, come blasone. Diego ha creato un fenomeno Napoli e anche post-mortem è diventato oggetto di culto. File immense di turisti si alternano per rendergli omaggio, per farsi partecipi dell'energia che in città si respira solo al guardare una sua immagine sul muro. I murales sparsi per tutta la città, nelle Periferie più difficili e nelle zone più importanti.
Per di più, il 25 novembre il Napoli ha sempre vinto nel suo ricordo. 4-0 contro la Roma il primo anno, 4-0 contro la Lazio la seconda volta. Sempre di dominio, con gol mozzafiato, sotto piogge bibliche. Come se pure la natura piangesse o si scatenasse. Questione di energie, non di religione. Anche se la sua divinizzazione non ha nulla di laico. A Buenos Aires è venerato come un profeta in Terra e durante i Mondiali ce ne siamo accorti tutti. A Napoli è caratteristico, culturale come il Vesuvio e come il panorama di Posillipo. Fa parte delle nuvole e si siede accanto ai passanti sui muretti. Salta qua e là tra le pizzerie storiche e si siede tra i Leoni del Plebiscito. È dentro di noi.
Di Mattia Fele
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