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editoriali

Come le proprietà straniere stanno mortificando il calcio italiano (che già stava a pezzi)

(Getty Images)

Perché l'eldorado cinese o qatariota è uno specchietto per le allodole

Giovanni Ibello

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo/video dal titolo vagamente provocatorio: Lukaku se ne va? Inter, riprendi Livaja. Guarda che gol! Ok, magari abbiamo esagerato un po' con i toni (sui social il popolo nerazzurro ci ha apostrofato in ogni modo, e francamente ci sta) eppure il pezzo, a prescindere dall'ovvia ironia, lascia intendere un qualcosa di ben più profondo e malinconico.

Anche Lukaku via, scoppia la protesta contro Zhang

 (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Tutti i tifosi sognano l'eldorado cinese o qatariota per la propria squadra del cuore, ma spesso queste proprietà sono solo degli specchietti per le allodole. Seducono e poi abbandonano piazze che per blasone e tradizione pedatoria non meriterebbero simili umiliazioni. Non c'è rivalità che tenga al cospetto di certi scempi. L'Inter ha vinto lo scudetto dopo dieci anni di digiuno, e fino a due mesi fa il popolo del biscione sventolava i bandieroni in piazza Duomo. Oggi invece l'euforia ha lasciato spazio alla disperazione. Prima Conte, poi Hakimi e infine Lukaku  (siamo sicuri che sia finita qui?). Via tutti. Un hattrick dell'orrore! Alzi la mano chi vorrebbe vincere un campionato prima di smobilitare mezza squadra; nessuno sano di mente accetterebbe il compromesso. Nel "sabato del villaggio", celeberrima poesia di Giacomo Leopardi, il sabato costituisce l'allegoria della giovinezza, dei sogni e delle speranze. La domenica, invece, simboleggia l'età adulta con il crollo delle illusioni. E proprio come nel dettato di questa lirica, cinesi e americani stanno giocando pericolosamente con la passione dei tifosi. Li stanno illudendo.

Il calcio in Italia è molto più di un gioco

Zhang deve capire che se in Cina il calcio è poco più di divertissement, in Italia le cose sono un pelo diverse. Qui il calcio (purtroppo) è più di una religione e tocca farci i conti. Anche a Malaga il sogno dei petroldollari si è ben presto trasformato nel più atroce degli incubi. Dopo l'acquisto di un Ruud van Nistelrooij "formato nostalgia", lo sceicco Abdullah Al Thani non ha mantenuto le sue promesse adamantine tanto che nel 2018 la squadra è addirittura retrocessa in seconda divisione. E che dire della Roma di Pallotta? Zero trofei, tanti improperi e pile di progetti edilizi rimasti lettera morta. A quanto pare il nuovo stadio è un sogno irrealizzabile per i capitolini. Così, quando gli americani hanno capito che non c'erano gli estremi per concretizzare i loro programmi hanno subito levato l'ancora. Parlare poi dell'ex Milan cinese "guidato" dalla premiata ditta Fassone-Mirabelli, quelli delle cose formali per intenderci, sarebbe come sparare sulla croce rossa.

Il Napoli non è un giocattolo per la proprietà (per fortuna)

Ecco perché visti i tempi che corrono, al sogno esotico è bene preferire una solida realtà locale. Il Napoli ha sicuramente dei problemi da risolvere, magari non potrà spendere 80 milioni per prendere il Lukaku di turno, ma di sicuro non è un club che smobilita il suo assetto. Di sicuro il Napoli non è un giocattolo per la proprietà. Anche senza Champions, il club sta reggendo alle offensive per i suoi gioielli. A oggi questo è un dato di fatto (ma si potrebbe ragionare invece sulle strategie per il mercato in entrata, per ora ancora sibilline). A Napoli insomma, la continuità tecnica e di obiettivi è garantita da un progetto assennato che prima o poi, si spera, dovrà pur dare i suoi frutti anche in chiave scudetto. Sarebbe anche ora di passare all'incasso.

A cura di Giovanni Ibello

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