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editoriali

Koulibaly rubò il fuoco agli dèi, Raspadori ha chiuso il cerchio. È il trionfo delle idee

Koulibaly rubò il fuoco agli dèi, Raspadori ha chiuso il cerchio. È il trionfo delle idee - immagine 1
Quello che il 2018 toglie, il 2023 dà: Juventus-Napoli è un ricorso storico della bellezza che vince il pragmatismo (ben più che 1-0). Raspadori, simbolo degli investimenti di De Laurentiis, segna il gol Scudetto al 93esimo minuto

Quasi quasi la Juventus farebbe meglio a non presentarsi neanche, qualora il prossimo evento contro il Napoli dovesse avere luogo nel weekend del 22-23 aprile. Come nel 2018, oltre il novantesimo minuto nella stessa porta il Napoli ha vinto il pragmatismo di Allegri. Come al solito brutto, intenso nei primi minuti e poi solo noiosamente attendista. Lamenta due gol annullati giustamente ma non sa che sarebbe dovuto rimanere in 10 dopo lo schiaffo di Gatti a Kvaratskhelia (incredibile come i giocatori prima sconosciuti vengano juventinizzati così in fretta in quel della Continassa). Di più, la simulazione di Cuadrado è da prova TV. È reiterata. È continua ed imbarazza un po' chi scrive. Tutto sommato, è stata una partita godibile ma è praticamente stato il solito Juventus-Napoli. Nel secondo tempo una squadra voleva vincerlo e l'ha fatto, con uno Spalletti superiore che sa quando e chi cambiare. Mette Elmas, Zielinski e Raspadori e i tre confezionano il gol della vittoria, che con merito va al ragazzo simbolo degli investimenti di De Laurentiis. Che. Non. Sbaglia. Un. Colpo.

Anche per dimenticare

Koulibaly rubò il fuoco agli dèi, Raspadori ha chiuso il cerchio. È il trionfo delle idee - immagine 1
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Parte bene la Juventus all'Allianz: un primo quarto d'ora emotivo e in generale un buon primo tempo, per aggressività e contenuti tecnici. Pregevole addirittura qualche uscita - chiaramente frutto di giocate singole estemporanee, mai di un disegno di gioco - e qualche manovra con cambio gioco su Cuadrado. Suo l'unico tiro verso la porta della prima frazione e quasi di tutta la partita, mentre come ci si aspettava è il Napoli a fare il resto (ovvero giocare a calcio). L'impressione è che comunque gli avversari in generale abbiano iniziato a credere che Spalletti si batta con la grinta, la famosa "cattiveria" che non è propria degli azzurri: così su ogni pallone la Juventus riusciva nella prima frazione a tenere palla coperta, togliere spazio ad Osimhen. In questo senso si è rivelata azzeccata la scelta di Ndombele: il francese di fatto è stato l'unico a verticalizzare, quello con più fantasia e che avrebbe potuto davvero far saltare il banco di queste maglie strettissime in bianco e nero. Malino sulle scelte Lozano, che in un'incursione stupenda sbaglia e cerca il tiro invece di servire Kvara (il migliore per generosità, sempre, di gran lunga: qualsiasi cosa faccia tende a far empatizzare lo spettatore ndr), che viene anche schiaffeggiato clamorosamente da Gatti senza senso. Persino Marelli a DAZN grida al cartellino rosso. In mezzo al campo Miretti segue come un'ombra Lobotka, Cuadrado dà pensieri a Olivera e Di Lorenzo resta per scelta bloccato per impedire a Kostic di andar via in campo aperto (è la mossa che si invocava contro il Milan in Champions).

La Juventus mette dentro all'ora di gioco Di Maria e Chiesa e fin qui tutto normale in casa Allegri. Prima ci difendiamo, poi cerchiamo di vincere in contropiede nel secondo tempo coi calciatori più tecnici e veloci. Una buona strategia nelle gare ad eliminazione diretta, che non può invece premiare in un lungo percorso come è un campionato nazionale. Su questo il Napoli è stato straordinario: Spalletti ha scelto la via del gioco sempre e comunque, martellando di continuo qualunque avversario. Non c'è squadra che contro il Napoli in Serie A abbia superato il 40% di possesso palla in una partita. Il Napoli ha saputo segnare verticalizzando, crossando, con schemi da calcio piazzato. Tirando da fuori (poco) e soprattutto da dentro l'area. Con i terzini, coi centrali, coi centrocampisti, con Lobotka. Con gli esterni offensivi e con la sua punta di diamante che sarà ricercata in tutto il mondo e pagata a prezzo carissimo. Alla Juventus vengono annullati due gol da un buonissimo Fabbri, che ammonisce mezza Juve senza pensarci e lascia tutti un po' sbigottiti per la sua personalità. Annulla andando al VAR la ripartenza di Di Maria per fallo dell'ex Milik su Lobotka, poi ci mette del suo con la gestualità e la sicurezza per tutti e 90'. È addirittura encomiabile su Cuadrado, che meriterebbe ammende settimanali per antisportività assoluta. Il suo tuffetto in area fa partire invece l'azione del gol del Napoli.

Tutto il Napoli nel secondo tempo ha voluto la vittoria più della Juventus, come nel 2018. In quel caso però i bianconeri vantavano un +4 al primo posto in classifica e si sentivano sicuri che un pareggio avrebbe aiutato. Oggi si chiama inferiorità palese, nel breve e nel lungo periodo. Checché Allegri ne possa dire, il calcio non è semplice. Difendersi non vuol dire non subire gol. I calciatori sono uomini e non è sempre possibile contro una squadra che ne ha di più mentalmente riuscire a reggere. Sbaglia Fagioli, Cuadrado resta alto proprio dopo il tuffo carpiato su Juan Jesus ed ecco che Raspadori - entrato per Kvara, che cambio di Spalletti! - mette in porta il pallone dell'1-0. Gioia infinita come quella che scatenò Koulibaly. Grandi feste a Capodichino come quando Sarri con la bellezza sbancò il potere. La prima volta non si scorda mai e va detto pure che è da quel Napoli che è nato il Napoli che vincerà lo Scudetto. Che il DNA del gioco dominante è stato partorito nel 2015-16 e De Laurentiis non se lo strapperà più di dosso. La vittoria di Torino firmata Raspadori è per dimenticare la delusione del 3-0 a Firenze del 29 aprile 2018, che allo stesso tempo è stato l'altro capo del filo rosso che oggi conduce ad un altro 29 aprile. Contro la Salernitana, con una vittoria e una conseguente non vittoria della Lazio a Milano contro l'Inter sarà Terzo Scudetto. Scritto in capital letters come ogni titolo d'avvenimento storico che si rispetti. Poi si parlerà anche di Giovanni Di Lorenzo, il miglior capitano che questa squadra potesse desiderare. Non napoletano, lontano da folclori che distraggono e ben piantato a terra. Che sa costruire dal basso nel calcio come nella vita, che ha dovuto sudarsi gli scarpini come Spalletti stesso.

Non basteranno mille parole oggi né la prossima settimana per descrivere cosa ha smosso questa squadra. A partire dall'aspetto sportivo per finire con quello sociale e storico. Ha sconquassato gli umori d'Italia e rovesciato un paradigma nordico che andava avanti dalla vittoria della Roma del proprio terzo tricolore. Il Napoli è già in un ciclo vincente, non ha bisogno di aprirne uno. Il merito è nell'ordine di: De Laurentiis, De Laurentiis, poi anche di De Laurentiis. Non è piaggeria, è riconoscenza. Lo straordinario lavoro dei suoi uomini parte tutto da chi ha seminato. Le radici forti tengono su un albero che può diventare la quercia bianca del nostro campionato e un modello per l'intera Europa, in un mondo dove si spende e spande e si crede di vincere per blasone. Perché è dovuto. Il Napoli ha divaricato in due la presunzione pure delle migliori squadre del mondo. Con i soldi si vince più spesso ma con Rrahmani, Kim, Mario Rui e altri atleti umili messi insieme nel posto giusto al momento giusto e ben guidati, raggiungere uno scopo ha tutto un altro sapore. Una chiosa per gli uomini del 2018 (Sarri compreso) che ci avevano provato e avevano fatto "solo" sognare senza raccogliere. È una vittoria di cui non bisogna essere invidiosi. Bisogna accettarla, amarla come ha fatto Ghoulam. Come sicuramente sta facendo Koulibaly. Bisogna partecipare come sicuramente farà Mertens tornando in patria. Pure se la vittoria a Torino è totalmente sovrapponibile a quella di quell'anno lì, la dimostrazione che sia stato un percorso unico verrà anche da certi comportamenti di unione. Ma lasciamoci sorprendere...

A cura di Mattia Fele