Che Giorgio Chiellini si inginocchi o meno il razzismo continuerà ad esistere: questo è ovvio. Così com'è altrettanto certo - o probabile - che nessun calciatore della Nazionale sia un esponente del suprematismo bianco - allego definizione - più fervente (nonostante, purtroppo, siamo tutti coinvolti). Resta, però, un'evidenza piuttosto preoccupante, agli occhi dei più: si parla di inginocchiarsi e non del perché. La forma è diventata più importante della sostanza. Aprite un libro di Aristotele. O anche solo un libro qualsiasi.
editoriali
L’Italia non si inginocchia, l’Allianz resta grigio: è un calcio che non sta in piedi
Dante Alighieri - nel Trecento - parlava degli ignavi come di coloro "che mai non fur vivi". Ma non serve sfogliare la Divina Commedia per intuire che non scegliere è una scelta: ignorare il male equivale ad esserne complici. Sempre
Farlo e basta
Sono ormai anni che il Calcio è passato da hobby a Lavoro, da cricca ad Industria, da azioni sul campo a Società-per-azioni. E già questo è un progresso degenere, volto al guadagno sopra ogni cosa, degno di un Futurismo che potrà solo portare il tifo a scomparire, e i club a fregarsene. È stato l'anno della Superlega, la più grande supercazzola sportiva degli ultimi 100 anni. Un campionato condominiale in un appartamento di Montecarlo, tra inquilini che fatturano 1 milione al giorno solo respirando. Questi Europei del 2021 non potevano distaccarsi poi così tanto da questo labirintico groviglio di posizioni complesse, costruito da chi si genuflette al Dio danaro ma non può sporcarsi tibia e perone per un gesto umanitario.
Chi ha scelto di inginocchiarsi lo ha fatto non per vicinanza ad un regime politico, né ad una forma di governo e men che mai per un ribaltamento di supremazia (paura, eh?). Il discorso - poiché si tratta di persone che usano bene i piedi, hanno un fisico imponente ma non sono luminari di Harvard - è molto più banale: vogliono mandare un messaggio di civiltà. Un messaggio che non abbatte il razzismo. Non inginocchiarsi, invece, lo fa?
Alla base di questa inutile discussione - la stampa italiana è avvezza al futile - giace un pazzesco errore di valutazione da parte di tutti. Addetti ai lavori, esperti, tuttologi, vertici calcistici, radio- filosofi. E non è neanche colpa loro, perché non sono preparati né competenti per giudicare ed esprimersi su fatti di una certa levatura. Vengono interpellati ad casum. Ma il fatto è questo: difendere i diritti di una minoranza da sempre schiacciata, ridotta all'osso e ancora oggi martoriata non è politica, come dice l'UEFA, come pensa la FIGC, come dicono i tifosi infastiditi dal "politicamente corretto" - che in Italia non esiste -. La difesa dei diritti civili riguarda tutti noi, che siamo colpevoli e vittime. Riguarda la società e le persone, riguarda la vita e come questa non ha bisogno di essere discussa o affrontata intorno a un tavolo e in TV. Va vissuta e basta. Nel nostro Paese prevale la presunzione del non-scegliere, e così si preferisce speculare sull'eventuale gesto del Belgio piuttosto che semplicemente inginocchiarsi.Farlo e basta.
Chi scrive si chiede, con curiosità: c'è qualcosa di male nel gesto? E se non c'è niente, ed è comunque meglio che non farlo, perché astenersi?
E non ci fermiamo soltanto alBlack Lives Matter. Qualche giorno fa, dopo l'approvazione di una legge assurda che reclude gli omosessuali a nullità in Ungheria, il sindaco di Monaco di Baviera aveva ben pensato di illuminare l'intero Stadio Allianz Arena di tutti i colori dell'arcobaleno, come chiaro segnale di distinzione tra noi e voialtri (l'Ungheria avrebbe dovuto affrontare proprio la Germania di Löw in quello stadio), tra chi conosce i diritti civili e chi li calpesta. L'UEFA si è espressa in questi termini: "Qualunque sia la nostra visione su quanto giustificato potesse essere quel segnale o quel messaggio, il calcio non può permettere di essere usato per scopi politici".
Se possibile, sarebbe il caso che il capo del calcio internazionale ci spiegasse in che senso promuovere la difesa di ogni forma d'amore abbia a che fare con la politica. Anzi, per difendere una causa giusta - è giusta, fatevene una ragione - bisogna urlare, scendere in piazza, affiggere manifesti, celebrare. Il mondo non si cambia in silenzio. Alcuni soprusi non possono essere dimenticati, e prima bisognerebbe pure conoscerli.
Troppe volte ad un calciatore è stato chiesto un parere sull'omosessualità nel calcio, ad esempio. Ricordiamo le parole di Toni Kroos, uno dei centrocampisti centrali più forti al mondo, che non consiglierebbe ad un compagno omosessuale di aprirsi con i suoi compagni.Ed ultime le dichiarazioni di Meunier, esterno destro del Belgio che affronterà l'Italia, secondo cui il calcio non sarebbe pronto ad accogliere le diversità, specie negli spogliatoi. La riflessione fluisce spontanea: se il calcio non è pronto a nulla, e ancor si poggia su retaggi culturali che non vanno al passo della società civile, perché dovrebbe modellare la politica? Non dovrebbe invece essere il mondo esterno, più evoluto, a prendersi la briga di educare il mondo interno, del calcio? Un mondo di bravi atleti a cui si vuole dare rilevanza sociale e politica, nonostante si tratti per lo più di ricchissimi ineruditi dall'opinione spesso raffazzonata. Chi ha giocato a calcio non per forza ha studiato. E non può esser d'accordo con ciò che non ha mai potuto conoscere.
Insomma, i confini sono deteriori, sfumati e labili ma una società, un Paese (laico?) come l'Italia attraverso le sue Istituzioni avrebbe dovuto sostenere ben altro (e di certo non questo), avrebbe dovuto consigliare una linea di integrazione e comprensione del diverso, una linea che abbracciasse tutti i colori. Le tonalità di un luogo che abitiamo tutti da individui, anche nel ricordo di chi invece questo mondo ha dovuto lasciarlo per aver acquistato delle sigarette.
Finché continueremo a pensare che il razzismo e l'omofobia sono cosa d'altri, non sentendoci colpevoli in parte e responsabili indiretti, probabilmente l'odio non finirà. E così lo sfruttamento, le divisioni, le guerre, la fame. Siamo i bulli del nuovo secolo e vogliamo elevarci a vittime e giudici di una vita che non conosciamo e non conosceremo mai, che immaginiamo e ignoriamo senza pietà. Ma un'azione che non nuoce a nessuno e può in potenza portare del bene a qualcuno, va fatta. Dei diritti umani non si discute, le azioni umanitarie non si riportano sui giornali. Si fanno. Altrimenti sì, diventano politica. Ma anche in questo la colpa è nostra: prima siamo noi a politicizzare e formalizzare, e poi frigniamo fino ad assumere che l'inginocchiarsi sia un gesto di sola forma e di poca sostanza. La sostanza che siamo noi stessi a sfocare.
E comunque sia, qualsiasi gesto non sarebbe abbastanza.
A cura di Mattia Fele
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