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editoriali
Per il giudizio tranciante (e disfattista) ripassi domani, per ora è la storia di una serataccia
Per la prima volta in questa stagione il Napoli ha perso una partita di campionato. Una su sedici. Lo ha fatto contro l'Inter di Inzaghi, che da subito ha messo la gara sulle proprie caratteristiche (avverse agli azzurri ab urbe condita: la fisicità, i cambi di gioco, l'allargare e l'allungare il campo) e l'ha vinta con un gol di Dzeko alla prima apertura riuscita di Mkhitaryan su Dimarco. Male più o meno tutto il reparto centrale di Spalletti, che non è mai riuscito a trovare lo spazio alle spalle di Calhanoglu ed è stato con il tempo sempre più timido, spaventato dalle folate pericolosissime degli avversari ad ogni recupero palla. Di buono c'è che anche gli stessi giocatori del Napoli capiranno subito che perdere è possibile per tutti. Di cattivo c'è poco, se non la prestazione e il prurito dovuto al fatto che sia successo proprio a San Siro (come un anno fa, ma a novembre ndr) e alla ripresa del campionato. In ossequio ad un'eco stridula (pure interna) che chiedeva e aspettava soltanto questo per aprire le danze del disfattismo.
L'Inter è di fatto una squadra pari al Napoli per qualità individuale e capacità di gioco nella partita secca: nonostante avesse subìto ben 5 sconfitte nelle scorse 15 (il Milan e la Juventus soltanto 2, ha perso di meno addirittura la Roma ndr), non c'erano dubbi che Inzaghi avrebbe provato a portare Inter-Napoli sul piano del corpo, delle sventagliate, della velocità in ripartenza. Così il primo tempo è stato d'attesa, col Napoli che quasi da subito ha iniziato a girare il pallone (ha terminato la gara con il possesso palla a favore, con più passaggi effettuati e addirittura - ma è un dato fuorviante - con più tiri in porta) a destra e a sinistra ma con troppa lentezza, in modo velleitario. Così da Rrahmani a Kim, da Kim ad un ottimo Olivera per Kvara che troppo spesso si è fatto anticipare da Darmian o chiudere nel suo uno-contro-uno da Skriniar. Pochi sprazzi e soprattutto poco coraggio di servire negli inserimenti i calciatori che riuscivano a trovare tracce interessanti. Compassato Zielinski, forse un pelino fuori condizione Anguissa (molto meglio Ndombele, che quand'è entrato ha dato segni di grosso spolvero). Isolato Osimhen, come spesso capita quando gli avversari concedono zero profondità e stanno tutti ad attendere la mossa, il cross. La triangolazione. Così a parte un tenero e timido destraccio di Anguissa al termine di un'azione super elaborata, il Napoli di Spalletti nel primo tempo produce solo possesso lento. È l'Inter a comandare, silenziosamente.
Palle lunghe, palle larghe, poi cambi di posizione tra le mezzali e più cattiveria sulle seconde palle. Così Inzaghi ha iniziato il secondo tempo, alzando la pressione e mettendo ancora di più in difficoltà un Napoli che invece credeva che sarebbe riuscito (forse con un po' di superficialità?) a porla sui binari propri. Nulla da fare: al 10' della ripresa Dimarco trova Dzeko alle spalle di Rrahmani su cross dalla sinistra e il Napoli si spegne ancor di più invece di reagire. Entra male Raspadori (anche se è il suo l'unico tiro in porta, oltre il 90'), benino Elmas e male anche Lozano. È la serata che non ingrana, ma soprattutto la grinta e la superiorità dell'Inter nell'essere riusciti a portare a casa quanto preparato in allenamento. Pura normalità nel calcio, anche per chi poi vince lo Scudetto. Fu così per la Juventus del 2017-18 che perse proprio contro il Napoli una gara decisiva giocandola in modo osceno. Senza mai tirare, con solo un palo casuale dovuto ad una deviazione. Dominata in lungo e in largo, eppure era nettamente la squadra più forte del torneo e vinse. È successo al Milan dell'anno scorso dominato in casa dal Sassuolo di Raspadori e Scamacca. Insomma, a Napoli si è passati dal dramma preventivo al fatto che la squadra non potesse più concedersi il lusso di perdere una partita su sedici.
A giudizio di chi scrive però nulla è precluso: non è detto che il Napoli riparta già bene contro la Sampdoria, non è detto che questo sia solo un episodio negativo dovuto a tutta una serie di fattori. Domenica c'è una Sampdoria che arde di nuovo e ha vinto a Reggio Emilia con il coltello tra i denti (e uno straordinario gol di Gabbiadini). È però certo che si era fuori strada se si pensava che il Napoli avrebbe ammazzato il campionato entro febbraio. Nessuna squadra (se non la Juventus di Conte dei 101 punti) lo ha fatto negli ultimi 30 anni. E il Napoli è al pari di Juventus, Inter e Milan quanto a qualità della rosa, va detto e ribadito. Non è inferiore ma non è nemmeno nettamente superiore. Negli scorsi mesi ha trovato un gioco, delle soluzioni, dei calciatori affamati che hanno fatto un filotto straordinario soprattutto in Champions, arricchendo le vittorie di grosso spettacolo. Un bel punto è quello aggiunto da Spalletti a fine serata: "Lotterà fino alla fine per lo Scudetto la squadra che esprimerà innanzitutto il miglior calcio". Già ci sentiamo di escludere un tantinello la Juventus, che per ora continua a speculare e trovare gol rocamboleschi al termine di partite inguardabili, lentissime. Quasi diseducative, pur facendolo con merito e senza prendere gol soprattutto. Poi c'è un Milan già in palla (che però ha giocato contro una Salernitana fin troppo spregiudicata) e un'Inter che bisognerà valutare col tempo, perché non può permettersi neanche un altro piccolo passo falso nelle prossime 22 gare. Il Napoli può chiudere ancora a 50 il girone di andata (sarebbe un record assoluto nella storia del club: il massimo fu 48 con Sarri).
Per il giudizio tranciante bisognerà aspettare domani, e con domani s'intende almeno la chiusura del prossimo mese e perché no degli Ottavi di Champions. Una squadra si giudica da tutto tranne che da una partita persa a San Siro dopo una serie interminabile di successi. L'anno scorso poco dopo fu sfascio, ma si misero in mezzo anche infortuni e Covid-19. Osimhen si spaccò il viso, a Torino (proprio a gennaio) si andò con undici uomini contati. Ora ci sono tutti, c'è tempo, c'è la voglia. C'è Kvaratskhelia che non è questo. C'è Osimhen capocannoniere. Ci sono 5 punti di vantaggio e il Milan che ha Roma, Lazio e Inter nel giro di un mese. Quel filo sottile tra equilibrio e ottimismo. Balliamo lì.
A cura di Mattia Fele
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